Le carte napoletane possono essere usate in due maniere: giocando, e giocando per vincere. Se qualcuno assiste ad una scopa tra due napoletani, o peggio, ad uno scopone, sa che ogni neurone di ognuno dei giocatori è all’erta nel tentativo di memorizzare ogni carta, prevedere ogni mossa, studiare ogni reazione dell’avversario di turno. Giocare a carte per un napoletano è una faccenda molto seria, per quante risate ci si possa fare prima e dopo.
Ma perchè? Si tratta davvero della necessità di essere i migliori nei giochi di carte, o c’è sotto qualcos’altro? Come certamente immaginate, non vediamo l’ora di rivelarvi che sì, c’è sotto qualcos’altro. E per scoprire cosa, dobbiamo far riferimento ad un terzo utilizzo delle carte napoletane, praticato oggi da meno persone di un tempo, ma sempre presente nel nostro DNA, come brace rossa sotto il grigio della cenere: Cartomanzia.
Le carte, una volta giunte a Napoli, vennero trattate dagli alchimisti molto seriamente, e divennero immediatamente oggetto di studio ed approfondimento. Nel popolo, invece, le carte cominciarono a circolare come un segreto da custodire, diffondere, e tramandare. In ambito popolare le carte dovevano essere disegnate a mano, per essere diffuse. Veri e propri copisti professionisti, rari e selezionati, furono per un millennio depositari di un antico sapere.
Con la stampa e la produzione industriale le cose cominciarono a cambiare. Una Napoli più taverniera cominciò a giocare a carte, una Napoli più occulta continuò ad utilizzare le carte napoletane per scrutare gli eventi futuri ed interpellare forze misteriose. Questa seconda categoria abitava i fondaci del porto. Si trattava di anziane signore che sceglievano meticolosamente una ragazza cui affidare i propri segreti.
L’arte di interpretare le carte e la loro disposizione richiedeva anni di pratica e studio, durante i quali era assolutamente vietato leggere le carte a chi ne aveva bisogno. Prima bisognava imparare le infinite combinazioni possibili di carte, e solo alla fine di un lungo periodo di addestramento, si veniva considerate pronte per proseguire la tradizione. Il mestiere della cartomante non portava molto denaro, ma stima, timore, e rispetto si.
Il perchè era chiaro: la cartomante non aveva tra le mani un semplice mazzo di carte napoletane. La cartomante aveva tra le mani forze e poteri ignoti, che le parlavano attraverso le carte, con un linguaggio complesso in cui ogni carta era una parola diversa a seconda della frase in cui si trovava. E questo linguaggio era appannaggio di pochissimi, tanto che oggi le notizie sui simboli del mazzo di carte napoletane sono poche e frammentarie.
Il seme dei Denari è una diretta derivazione dell’Antico Egitto, e precisamente del periodo in cui il Dio più potente di tutti era Ra, il Dio del Sole. Il seme delle Spade è invece una promanazione del mondo Greco e Latino: il Dio Ares, dio della guerra, che viene tradotto in termini di potere e successo. Le coppe dovrebbero essere legate al mondo di Bacco, dei piaceri edonistici. Se un Dio doveva essere rappresentato dai Bastoni, non poteva essere che Priapo.
Fin qui la “etimologia” di alcune parole di questo linguaggio. Ma aggiungiamo un’ulteriore notizia, che forse non conoscevate. Vi siete mai chiesti perchè le figure delle carte napoletane, e persino le dimensioni, restano immutate nei secoli? Oggi siamo abituati a doppioni e rifacimenti di ogni cosa. Ma graficamente le carte rimangono sempre identiche.
Nonostante si possano rappresentare graficamente cinque spade in miliardi di maniere diverse, viene sempre scelta quella tradizionale. Perché? Perché nel cinque di spade vengono sempre raffigurate delle insensate scene di raccolti fortunati? Perché il nove di spade è sempre una specie di turco a cavallo? Che c’entra l’aquila a due teste con l’asso di denari? E quel faccione baffuto sul tre di bastoni?
Possiamo rispondere solo all’ultima di queste domande. Si dice quell’omone al centro dei tre bastoni sia il Gatto Mammone (l’uomo nero della tradizione nordica). Ma potrebbe essere anche una presa in giro piuttosto recente dei trii di camorristi che vennero assunti dal governo per badare all’ordine pubblico in un bollente contesto post-garibaldino.
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