Cronaca

Omicidio Gelsomina Verde: 30 anni di carcere per gli scortatori. Fu torturata e uccisa perché la ex di un rivale del clan

A distanza di oltre due decenni dall’efferato omicidio di Gelsomina Verde, la giustizia ha compiuto un passo significativo. Luigi De Lucia e Pasquale Rinaldi, soprannominato ‘o Vichingo, sono stati condannati oggi in primo grado a 30 anni di reclusione. La sentenza è stata emessa dal Gup del tribunale di Napoli, Valentina Giovanniello, accogliendo pienamente le richieste dei pubblici ministeri Maurizio De Marco e Stefania Di Dona.

Gelsomina Verde, una giovane di soli 21 anni, fu tragicamente coinvolta nella sanguinosa faida che insanguinò Scampia nel 2004, nel pieno della guerra tra il potente clan Di Lauro e gli scissionisti degli Amato-Pagano. La sua unica “colpa” fu un breve legame sentimentale, ormai concluso da mesi, con Gennaro Notturno, un ragazzo poi passato tra le fila dei clan rivali. Proprio questo suo trascorso sentimentale la rese un bersaglio per la furia del clan Di Lauro. De Lucia e Rinaldi sono stati ritenuti colpevoli di aver scortato l’auto su cui viaggiava Gelsomina, con a bordo un terzo uomo armato, verso il suo tragico destino. La giovane fu sequestrata, sottoposta a ore di brutale interrogatorio e infine barbaramente uccisa dai killer del clan.

La ricostruzione degli inquirenti, resa possibile dalle preziose rivelazioni di numerosi collaboratori di giustizia, tra cui figure di spicco come Pietro Esposito e l’ex vivandiere del boss Marco Di Lauro, Salvatore Tamburrino, ha permesso di fare luce sui dettagli raccapriccianti dell’omicidio. Fu Ugo De Lucia, cugino di Luigi e già condannato all’ergastolo, a prendere la fatale decisione di sopprimere Gelsomina. Insieme ai suoi complici, inscenarono poi un orribile tentativo di cancellare ogni traccia del loro crimine, dando fuoco all’auto con il corpo martoriato della ragazza all’interno. In aula, a rappresentare il dolore di una famiglia mai rassegnata, erano presenti il fratello di Gelsomina, Francesco Verde, e la madre, Anna Lucarelli, assistiti dall’avvocato Liana Nesta. Anche la Fondazione Polis e il Comune di Napoli si sono costituiti parte civile in questo lungo e doloroso processo.

redazione

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