Veste i panni del marito, indossa quella divisa che gliel’ha strappato via, ma non si arrende. Giuliana Ghidotti, 33 anni, è la vedova di Pasquale Apicella, agente di 37 anni ucciso lo scorso 27 aprile a Capodichino durante un inseguimento, nell’incidente provocato da quattro rom in fuga dopo aver cercato di scassinare un bancomat.
“La mattina indosso la divisa di poliziotto e ho mio marito sulla pelle. Quando mi vesto per andare a lavorare entro nel suo mondo, quello che era la sua passione: fare il poliziotto”, dice la donna a Repubblica. Undici mesi dopo quella tragedia la donna, mamma di due bimbi piccoli, uno 7 anni e l’altro 1 anno, è entrata a far parte del corpo di Polizia dello Stato.
Nell’inseguimento finito in tragedia il collega di Apicella rimase ferito; poco dopo i quattro rom vennero arrestati, si scoprì che poco prima avevano già commesso un altro furto. Il processo è in corso. Il Comune di Napoli si è costituito parte civile. “Conoscevo i suoi colleghi, ma va detto che la polizia è una grande famiglia e quei colleghi erano fratelli di Lino. Ho avuto il primo approccio quando ho fatto le visite per il concorso. Mi hanno accolto benissimo, è stato il primo momento in cui mi sono trovata in quella grande famiglia” E poi confessa: “La divisa mi fa sentire Lino ancora più vicino, è sulla mia pelle”.
Il ricordo non si può fermare: “Ricordo tutto attimo per attimo. Ricordo quella citofonata. Erano le sette e trentacinque del mattino. Mi ero addormentata da poco perché mia figlia Cataleja… l’abbiamo chiamata con il nome di una orchidea della Colombia… si era svegliata per mangiare. Lino doveva tornare a casa dopo il turno ma al citofono non era la sua voce. “Siamo dei colleghi di Lino”, hanno detto. Erano in due, c’era il dirigente del commissariato di Secondigliano. “Purtroppo — hanno detto — c’è stato un inseguimento e tuo marito è stato coinvolto”. Io però avevo già capito. Avevo capito tutto fin dal suono del citofono”.
Una vita devastata, portata avanti solo per amore della famiglia e di quei due figli, Thiago e Cataleja, voluti e desiderati, progetti di vita che adesso la vedova porta avanti da sola. Nei momenti in cui resta con il proprio dolore può piangere quel marito, a more di una vita, e del figlio racconta: “Ha perfettamente capito che il padre è morto, ma insiste su altre domande. Mi chiede: Perché doveva morire proprio papà? Perché quella notte era di turno lui? Perché ha dovuto morire? Io gli rispondo che il padre è un eroe, che era un poliziotto che doveva rendere il mondo migliore. Allora lui si tranquillizza e infine si addormenta… Ha già deciso che farà il poliziotto. Non è facile. Quando è arrivata la festa del papà, la prima senza Lino, non ha seguito la scuola in Dad perché di certo gli altri bambini avrebbero parlato della festa. L’ho tenuto impegnato in altre cose, disegni, lavoretti e quant’altro… Lino e Thiago erano due corpi e un’anima…”.
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