Arianna Flagiello “non era depressa ma esasperata per le continue violenze e minacce del compagno”. Non si e’ suicidata “ma e’ stata indotta alla morte”, dato che il suo non era “un atto dimostrativo ma una liberazione dal supplizio”. Fu per questo che nell’agosto del 2015 apri’ la finestra nell’abitazione del quartiere Rione Alto a Napoli e si lascio’ cadere nel vuoto morendo sul colpo.
Questa la convinzione della Procura Generale partenopea, che ha chiesto ai giudici della quinta sezione di Corte d’Assise di condannare a 24 anni di carcere il compagno della donna, Mario Perrotta. Due anni in piu’ rispetto alla condanna di primo grado. Perche’ oltre all’induzione al suicidio, il pg Giovanni Cilenti gli contesta anche la tentata estorsione per i soldi che continuamente le chiedeva, reato per il quale fu assolto in primo grado.
Alla base dell’accusa piu’ pesante, i messaggi estrapolati dalla memoria del telefono di Arianna. L’imputato in dichiarazioni spontanee ha ribadito di essere innocente. Hanno poi discusso gli avvocati di parte civile: Giovanna Cacciapuoti, legale dell’associazione Salute Donna, e quelli legali dei familiari della vittima (genitori e sorella, presenti in aula insieme con la criminologa Antonella Formicola), gli avvocati Pasquale Coppola e Marco Imbimbo. Il 15 marzo tocchera’ ai legali di Perrotta, gli avvocati Sergio Pisani e Vanni Cerino.
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