Scoppia la polemica nei confronti del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ritenuto responsabile di aver negato la scorta a Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano in Congo,ucciso con il carabiniere Vittorio Iacovacci e un autista congolese, in un attentato.
“Due servitori dello Stato che ci sono stati strappati con violenza nell’adempimento del loro dovere. Non sono ancora note le circostanze di questo brutale attacco e nessuno sforzo verrà risparmiato per fare luce su quanto accaduto. Oggi lo Stato piange la perdita di due suoi figli esemplari e si stringe attorno alle famiglie, ai loro amici e colleghi alla Farnesina e nei Carabinieri”. Queste le parole di di Maio, poco dopo aver appreso la notizia dell’attentato. Allora ci si domanda come mai, per quei due servitori, non fossero state messe a disposizioni maggiori protezioni.
Attanasio aveva chiesto da tre anni sia la scorta che un’auto blindata. La richiesta era stata avanzata nel 2018, per proteggere i suoi movimenti non soltanto nella capitale Kinshasa ma in tutto il Congo.
Il ministro degli Esteri ha affermato qualche giorno fa: “A differenza di quanto riportato, l’Ambasciata è dotata di 2 vetture blindate con il quale i diplomatici si spostano in città e fuori. In questo caso, Attanasio si è spostato sotto invito del World Food Programme e sia lui che Iacovacci si sono affidati al protocollo delle Nazioni Unite”. Il ministro degli Esteri ha quindi confermato che i due viaggiavano sulle vetture in dotazione all’ambasciata, ma senza scorta. Sarebbe proprio questo punto sul quale si discute.
In un articolo de Il Riformista, a firma Paolo Guzzanti si legge: “Quando fu scandalosamente chiaro che Marco Biagi, prima di essere assassinato dalle Brigate Rosse a Bologna il 19 marzo del 2002, aveva vanamente chiesto la macchina blindata e la scorta – e gli erano state negate – il ministro degli Interni del governo Berlusconi, Claudio Scajola, fu costretto a dimettersi. Oggi non si capisce con quale mancanza di pudore il ministro degli Esteri non si sia dimesso”.
Pare però che la giustificazione del ministro sia che Attanasio non poteva essere protetto dallo Stato, perché “era troppo lontano dalla capitale” e dunque fuori dalla giurisdizione protettiva che lo Stato assicura ai suoi diplomatici.
“Oggi si viene a sapere che le forze governative sarebbero intervenute dopo l’attacco al convoglio dell’Onu – di cui facevano parte Attanasio e il povero carabiniere Vittorio Iacovacci – ingaggiando un conflitto a fuoco. Lo scopo dell’attacco armato sembra fosse quello di catturare ostaggi delle Nazioni unite, ma questi dettagli saranno chiariti nelle inchieste sul terreno congolese. Noi chiediamo solo di sapere come sono andate le cose dentro la Farnesina, responsabile di tutto ciò che accade alle ambasciate e ai diplomatici di ogni rango insieme agli uomini dei servizi segreti nelle ambasciate”, scrive ancora Guizzanti.
Adesso la responsabilità di prendere in mano la situazione e di chiarire è del premier Mario Draghi. Bisognerà stabilire se esiste un protocollo in grado di stabilire come e quando il personale delle ambasciate può avventurarsi in zone ad altissimo rischio, o se tale protocollo manca del tutto.
Valutazioni andranno fatte sullo stesso ministro degli Esteri che si è rivelato ignaro e stupefatto di fronte a un delitto avvenuto nelle circostanze dettagliatamente documentate dai nostri servizi di intelligence. Saranno le autorità congolesi e le Nazioni Unite adesso a svolgere le indagini su quanto accaduto sul territorio.
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