Ha perso la vita presso l’Ospedale Cotugno di Napoli dopo due settimane di lotta per restare in vita e in seguito a un precedente ricovero al Cardarelli. Ma quest’ultima, come riportato da Cronache di Napoli, è stata spezzata dal coronavirus. Stiamo parlando di un detenuto proveniente dal carcere di Poggioreale.
Nel penitenziario ci sono 115 detenuti positivi, 62 a Secondigliano, 220 tra agenti penitenziari e personale ausiliario. Nel frattempo è risultato contagiato dal Covid19 anche Antonio Fullone, direttore del carcere di Poggioreale.
È forte l’allarme su scala nazionale. Il mondo dell’associazionismo e del volontariato, insieme al Partito Radicale, stanno da mesi pungolando il Governo in merito a questa emergenza. I dati: in Italia ci sono 1.694 casi, 758 detenuti distribuiti in 76 penitenziari, 936 tra agenti della polizia penitenziaria e altre persone / operatori impiegati nelle carceri.
Il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma chiede la “liberazione anticipata”. Lo dicono anche i cappellani delle carceri della Campania dicono che scrivono una lettera al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in cui chiedono di “rivedere la sua posizione sull’indulto, che in questo momento sarebbe una misura di civiltà giuridica che porrebbe freno alla condizione inumana in cui i detenuti versano”.
I garanti regionali per i diritti dei detenuti sono settimane che si stanno muovendo nella stessa direzione. A rappresentarli in Campania Samuele Ciambriello. Ieri è stato redatto un comunicato sotto forma di appello, inviato poi al Parlamento.
Il carcere è una realtà in cui il rischio della diffusione del covid-19 è molto alto: il fisiologico assembramento di un numero considerevole di persone in uno spazio angusto non permette, infatti, di rispettare le regole minime di distanziamento fisico e di igiene funzionali alla prevenzione del virus. La patologica situazione di sovraffollamento che caratterizza le nostre carceri contribuisce inoltre fatalmente ad accrescere il rischio di diffusione del contagio. Di qui la necessità di incidere significativamente sul numero delle presenze in carcere, strutturalmente, attraverso una politica di coerente e costante decarcerizzazione, e nell’immediato, per la tutela del diritto alla salute di detenuti e operatori penitenziari.
In questo senso sono andati gli appelli del Comitato Europeo per la prevenzione della Tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti che nel marzo di quest’anno ha stilato dieci raccomandazioni/principi indirizzati alle autorità degli Stati membri del Consiglio d’Europa, in cui veniva sollecitata l’urgenza di ridurre il numero delle presenze nelle carceri e quello della Commissaria, Dunja Mijatović, all’utilizzo, senza discriminazioni, di qualsiasi possibile alternativa al carcere.
Il contagio all’interno degli istituti riflette in questi ultimi tempi, purtroppo, in maniera amplificata il trend in crescita registrato anche nelle nostre città. Si sta, infatti, diffondendo in maniera assai preoccupante: in pochi giorni personale e detenuti positivi si sono rapidamente moltiplicati, superando di gran lunga i casi registrati nella primavera scorsa. Dagli ultimi rilevamenti, al 13 novembre, emergono più di 600 positivi tra la popolazione detenuta e più di 800 tra gli operatori del settore penitenziario, di cui la maggior parte afferente alla polizia penitenziaria.
Senza contare che troppo spesso la necessità di individuare spazi per l’isolamento delle persone contagiate dal virus implica un’ulteriore contrazione degli spazi destinati alla restante popolazione detenuta. Una significativa riduzione delle presenze in carcere contribuirebbe positivamente ad affrontare nel migliore dei modi la gestione sanitaria interna della prevenzione e dei focolai, favorendo migliori condizioni lavorative per gli operatori penitenziari e permettendo, ove possibile, la prosecuzione in condizioni di sicurezza, delle attività lavorative e formative, di istruzione, culturali o sportive. L’auspicio è quello di non dover tornare a quella chiusura generalizzata delle attività trattamentali imposta in primavera. Devono inoltre essere assicurate alla generalità dei detenuti le telefonate e le videochiamate, anche oltre il minimo garantito da legge e regolamento e, finché possibile, i colloqui in presenza.
In questo contesto, le misure adottate dal Governo con il d.l. n. 137/2020 sembrano però, così come articolate, fornire una risposta inadeguata. Dai dati forniti dal Garante Nazionale nel suo report settimanale emerge che solo 2202 persone detenute potrebbero usufruire della detenzione domiciliare, avendo un idoneo domicilio, un residuo di pena inferiore ai 18 mesi e nessuna preclusione ostativa. Rivolgiamo pertanto un appello al Parlamento affinché voglia, in sede di conversione, adottare tutte le misure opportune per poter giungere ad una significativa riduzione del numero delle presenze dei detenuti negli istituti di pena, a partire da quelle già indicate dal Garante nazionale, applicando in modo estensivo e razionale le stesse previsioni previste dal decreto, senza sacrificio della sicurezza sociale, nell’auspicio che le stesse possano andare a beneficio anche dei soggetti più deboli (psichicamente fragili, tossicodipendenti, alcoldipendenti, senza fissa dimora).
Si auspica che la configurazione di queste misure sia tale da facilitare lo scrutinio da parte dei Magistrati di Sorveglianza, i cui uffici peraltro sono significativamente in sofferenza, e da parte delle Procure. Riteniamo pienamente condivisibile e dunque auspichiamo che possa essere accolta anche la proposta di prevedere una liberazione anticipata speciale e la sospensione dell’emissione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive fino al 31 dicembre 2021.
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