A 50 anni dalla morte di Gioacchino Lauro rileggiamo la storia. La flotta Lauro, tra le più importanti al mondo, si poteva salvare… Chi l’ha fatta colare a picco, lasciando senza lavoro centinaia di famiglie? Una vergogna, tutta made in sud

Presidente del Napoli (con lui sfiorò lo scudetto) e con spirito da mecenate Gioacchino volle a Sorrento gli Incontri del Cinema e davanti alla maestosa costiera del golfo ormeggiarono gli yacht più belli del mondo, dai quali scendevano Silvana Mangano, Silvana Pampanini, Vittorio Gassman, Vittorio De sica, Michelangelo Antonioni.

Armatore, parlamentare per tre legislazioni, sindaco, presidente del Calcio Napoli, mancava un solo esame alla laurea in giurisprudenza ma anche figlio di un padre ingombrante, O’ Comandante. Il primo maggio ricorre il 50esimo anniversario della morte di Gioacchino Lauro, primogenito di Achille. Uomo generoso e stravagante, non sempre compreso dal padre. Fu invece commemorato in aula con grande elogio da Sandro Pertini, allora Presidente della Camera. Oggi gli psicanalisti spenderebbero fiumi di parole nel tentativo di sviscerare quel rapporto non risolto fra padre e figlio. Troppo autoritario il primo, bisognoso di essere ascoltato il secondo.
Pochi sanno che Gioacchino fu autore di un libro (1945) “ Io difendo mio padre “ scritto per dimostrare l’innocenza del padre dalle accuse di collusione con il fascismo. Il libro è una ricostruzione della storia sulla Flotta Lauro dalle sue origini e comprende un’ampia documentazione tesa a dimostrare come Lauro non avesse avuto bisogno del regime per diventare una assoluta potenza marittima. Lo era già, allo scoppio della II guerra mondiale contava infatti ben 58 navi di proprietà. Date e cifre per l’ acquisto delle navi e delle testate storiche napoletane ( Il ROMA e Il Mattino ) incisero non poco sull’assoluzione del padre al processo. Era stato arrestato dalle forze alleate e portato nel campo di concentramento di Padula. Alla fine della guerra Gioacchino, a soli 25 anni, fu in prima linea al fianco di Achille nel recupero della flotta andata distrutta.

Entrambi carismatici, crearono intorno a sè una robusta rete di consensi. Se ‘O Comandante fu campione di populismo, Gioacchino, con savoir faire da uomo di mondo ( parlava quattro lingue) si dedicò ai traffici marittimi internazionali, inaugurando le sedi estere della flotta da Londra a Sydney, di cui assunse il pieno controllo. L’avversario da battere era Onassis. Una dinastia di potenti, i Lauro, furono i Kennedy made in sud, denaro, successo, belle donne, ebbero tutto, persero tutto. “Nell’altra metà della storia” il saggista Marco Demarco ha sostituito ai giudizi sommari sul laurismo quelli più di merito. “Lauro si è rivelato infatti un perfetto capro espiatorio e un colossale falso alibi per tutti coloro che hanno amministrato dopo di lui. E’ il caso della persistente marginalità, dopo più di mezzo secolo, di Napoli e del Sud”, spiega Demarco. Non solo in Australia Gioacchino era popolarissimo e molto stimato grazie anche alla sua perfetta conoscenza dell’inglese ( oltre all’inglese parlava correntemente spagnolo, francese e portoghese ), ma anche nei paesi dell’America latina. Tutti traffici passeggeri e merci da lui ideati e seguiti rappresentavano il vanto della Flotta Lauro per la regolarità e l’efficacia dei sevizi resi. Traffici che oltre a portare lustro portavano denari all’azienda ( per inciso la liquidità dell’azienda durante gli anni 50 era enorme, tra le prime se non la prima in assoluto in Italia.

Con spirito da mecenate Gioacchino volle a Sorrento gli Incontri del Cinema, l’esordio nel 1966 con la direzione artistica di Gian Luigi Rondi, e davanti alla maestosa costiera del golfo ormeggiarono gli yacht più belli del mondo, dai quali scendevano Silvana Mangano, Silvana Pampanini, Vittorio Gassman, Vittorio De sica, Michelangelo Antonioni. Seguivano party memorabili a Villa Angelina di MassaLubrense, fra gli ospiti anche Ingrid e Igmar Bergman e la principessa Cristina di Svezia che regalò al piccolo Giampiero, figlio di Gioacchino, un cavalluccio a dondolo in legno rosso.

Gioacchino portò Dino Zoff, il fuoriclasse dei portieri a Napoli, soffiandolo al Milan e all’Inter, e la squadra di calcio dalle retrovie delle classifiche fu catapultata a un passo dalla scudetto. Forte di altri acquisti come Ottavio Bianchi, Paolo Barison e Claudio Sala ( era allora una giovane promessa e non giocò mai con Gioacchino presidente ). La squadra fece un campionato strepitoso guidata in anchina dal “ Petisso “ Bruno Pesaola, giungendo per la prima volta nella sua storia seconda alle spalle del Milan. La sua presidenza fu segnata dalla sua generosità ma anche dalla sua riconosciuta competenza . A differenza degli altri presidenti che assistevano alle partite dalla tribuna d’onore, Gioacchino amava sedersi in panchina al fianco dei giocatori e dell’allenatore con i quali intratteneva personali e simpatici rapporti. Lo accompagnava, fedele compagno, il suo sigaro cubano “Montecristo” dal quale non si separava mai, neanche quando entrava dopo la partita a salutare la squadra.

Poi arrivò l’ora più buia. Mai come in quel momento il figlio avrebbe voluto avere vicino a sé un padre e non un partner d’affari, un freddo calcolatore. Risultato: la corte di adulatori si trasformò in approfittatori, i creditori divennero sciacalli. I prestiti si convertirono in cambiali. Il crack di 7 miliardi di lire fu inevitabile. Il padre chiese e ottenne un provvedimento tutelare contro il figlio per spezzare l’ingranaggio debito/credito.
Un tumore fulminante all’esofago uccise Gioacchino a 50 anni, ma la malattia fece avvicinare il comandante al letto del figlio morente, anche se i giornali dell’epoca specularono sulla falsa notizia che il padre non andò mai a trovarlo. Proprio durante la sua degenza il padre una mattina, senza preavviso, imprevedibile come sempre, si presentò in clinica per rendergli il suo conforto paterno. Fu un incontro drammatico che strappò le lacrime a entrambi e, soprattutto, ridiede una speranza a papà felice per quella visita come un bambino. E quell’incontro non fu l’unico . Ancora due volte il padre si recò successivamente in clinica.

Gioacchino non vide il crollo di quella flotta che si poteva salvare se solo ci fosse stata la volontà politica….

“Mio nonno -ricorda Achille Eugenio Lauro che ha scritto una biografia “ Il Navigatore” (Mondadori) – per la sua personalità e per la sua militanza nei partiti della destra aveva nemici politici giurati. Se si torna all’inizio degli anni ’80 e si ripercorre quel difficile periodo economico della storia del paese con tassi di interesse che sfioravano il 20 %, si ricorderà anche delle tante aziende salvate dai carrozzoni statali quali la GEPI la Cassa del Mezzogiorno, solo per fare alcuni esempi. La Flotta Lauro nel febbraio dell’82, quando fu commissariata, aveva una crisi di liquidità ma con il suo netto patrimoniale di oltre 100 miliardi avrebbe potuto sopravvivere agevolmente se solo si fosse voluto. Interessi politici ma anche economici di competitors a cui non parve vero di poter occupare gratuitamente i traffici marittimi che erano stati dei Lauro”.
Ci sarebbe da scrivere un libro solo su questo, ma qui stiamo commemorando Gioacchino.

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Januaria Piromallo

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