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Cinesi morti, le mani della camorra sul business funebre

Che fine fanno i cinesi quando muoiono?“, una domanda molto frequente all’interno dell’opinione pubblica e popolare napoletana. Una curiosità nata da un semplice fatto: la comunità “mandarina” è molto numerosa ma funerali e cimiteri cinesi a Napoli non se ne vedono. Quindi dove sono tutte le salme dei cittadini asiatici, originari della Cina, che vivono nel capoluogo partenopeo?

Una risposta l’ha data oggi Il Mattino pubblicando un articolo dedicato alle dichiarazioni che Alfonso Mazzarella da collaboratore di giustizia ha reso agli inquirenti. Vi è un’inchiesta in corso condotta dai Pm Ida FrongilloValeria Sico, coordinata dall’aggiunto Vincenzo Piscitelli. L’obiettivo dell’autorità giudiziaria è quello di svelare una rete di affari illeciti legati ad alcuni appalti relativi al porto di Napoli.

Un’indagine che ha già portato all’arresto di sei persone tra imprenditori e funzionari ma che ha escluso – per ora – l’associazione mafiosa. Per questo le dichiarazioni di Mazzarella sono diventate di primaria importanza. Potrebbero essere molte di più, infatti, le ramificazioni di questo presunto intreccio tra il porto e la camorra. Secondo il pentito quest’ultima, attraverso la sua famiglia e nello specifico tramite la figura di Franco Mazzarella, avrebbe messo lo zampino nel businss delle bare per i defunti cinesi.

Un “affare funebre” dove la legge del racket camorristico ha imposto alle famiglie cinesi una tangente da 1000 euro per ogni bara che viene puntualmente imbarcata su dei container a bordo di navi che poi intraprendono una traversata oceanica per arrivare in Cina. Quindi, le comunità “mandarine” residenti a Napoli farebbero di tutto per consentire il ritorno in patria dei propri cari defunti.

Per Il MattinoAlfonso Mazzarella ha raccontato che l’origine di tutto è da far ricondurre ad un summit di camorra avvenuto nel 2002 all’interno di un ristorante del Borgo Marinaro. Vi avrebbero partecipato, oltre e ovviamente ai Mazzarella, esponenti dei clan Contini (insieme a quelli facenti parte dell’Alleanza di Secondigliano), del clan Calone di Posillipo e del clan Misso della Sanità. Ad aver organizzato l’incontro e dato il via all’attività, sarebbe stato un certo “Dogana“. Un uomo il cui profilo è ancora avvolto nel mistero ma le cui spire potrebbero aver avvolto anche esponenti della vigilanza volti al controllo e alla sicurezza interne al porto.

redazione

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