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Carcere per i giornalisti, il giudice accoglie i rilievi del sindacato: deciderà la Corte Costituzionale

Sarà la Corte Costituzionale a stabilire se il carcere per i giornalisti è una misura legittima. Lo ha deciso il tribunale di Salerno che ha accolto l’eccezione di incostituzionalità sollevata dall’avvocato del Sindacato unitario giornalisti della Campania, Giancarlo Visone, nel processo per diffamazione a carico di un ex collaboratore e del direttore del quotidiano “Roma”. Secondo la tesi del Sindacato, condivisa dal giudice, “anche la sola previsione astratta della possibile irrogazione di una pena detentiva in caso di diffamazione a mezzo stampa comporterebbe una limitazione eccessiva del diritto convenzionalmente e costituzionalmente tutelato della libertà di manifestazione del pensiero e di cronaca del giornalista, incompatibile con l’articolo 10 della Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’uomo)”. Secondo questa tesi il carcere per i giornalisti, previsto nell’articolo 13 della legge sulla stampa e dall’articolo 595, comma tre, del codice penale (diffamazione a mezzo stampa), violerebbe gli articoli 3, 21, 25 e 27, nonché l’articolo 117 comma 1 della Costituzione in relazione all’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

“Sono anni che chiediamo che con una legge il Parlamento cancelli il carcere per i giornalisti – affermano il segretario e il presidente della FNSI, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, e il segretario del SUGC, Claudio Silvestri – Una vera vergogna che nessun Governo ha voluto affrontare seriamente e che spinge l’Italia in fondo alle classifiche sulla libertà di stampa. Adesso a decidere sulla legittimità del carcere sarà la Corte Costituzionale. A prescindere dalle sentenze, tuttavia, è sempre più urgente un intervento del legislatore su una materia fondamentale perché riguarda il diritto dei giornalisti di informare e il diritto dei cittadini ad essere informati. La recente condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, proprio per la presenza delle pena detentiva per il reato di diffamazione, non dà più alcun alibi al Parlamento”.

redazione

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