Ha annunciato il suicidio sui social, ma grazie all’intervento del sindaco è stato fermato in tempo: è quanto accaduto la notte scorsa a Marcianise, comune in provincia di Caserta. La vicenda, che ha coinvolto Antonello Velardi, sindaco della cittadina campana, è stata raccontata dallo stesso primo cittadino con un post pubblicato su Facebook.
Il sindaco racconta di essere stato contattato nella notte da un conoscente che lo avvertiva dell’intenzione di un ragazzo di suicidarsi, cosa che aveva annunciato poco prima con un post sul popolare social network. Velardi, turbato da quanto appreso, ha contattato immediatamente il capo della polizia municipale per metterlo al corrente della situazione e, una volta arrivati a casa del giovane, gli agenti hanno constatato che era fortunatamente ancora vivo. Il ragazzo, che vive una condizione familiare e personale molto difficile, riceverà, secondo quanto annunciato da Velardi, l’assistenza dei servizi sociali.
“Il dovere civico è merce rara”, spiega il sindaco raccontando la discussione avuta con l’uomo che per primo l’aveva avvertito della tragedia che rischiava di consumarsi. “Quando gli ho chiesto perché avesse contattato proprio me, mi ha risposto che si fida del sindaco e sono una figura di riferimento. Quelle parole mi hanno colpito. Un sindaco è sindaco sempre, soprattutto quando tocca la disperazione della sua gente”.
Questo il messaggio integrale di Velardi che racconta la vicenda:
È sera tardi, ieri sera. È quasi mezzanotte quando mi arriva un messaggio su Facebook. Mi scrive un amico di Fb con il quale per la verità non ho particolare consuetudine. “Sindaco – mi scrive – ho letto un post di un giovane che vuole suicidarsi. Sono molto preoccupato. Bisogna intervenire”. E mi scrive il nome del giovane.
Lì per lì resto perplesso. Diventa sempre molto difficile capire in questi casi, distinguere tra realtà e finzione. Il messaggio mi turba molto, non posso far finta di niente. Vado sul profilo del giovane indicato e, con mia sorpresa, davvero trovo il post con l’annuncio del suicidio. Smanetto sul profilo cercando di capire di chi si tratta. La foto mi dice e non mi dice, non trovo indizi utili.
Mi viene lo sconforto, mi sento impotente. Chiamo i carabinieri? Ma per dire cosa? Non ho elementi, non ho nulla se non quel post, peraltro con un solo commento sotto, scritto da chi mi aveva mandato il messaggio. Che quel giovane non conosce. Rischiamo di perdere tempo, mi prende l’ansia di arrivare tardi.
Una volta tanto il mestiere mi aiuta, il Padreterno mi assiste. Mi è capitato più volte nel lavoro di cercare persone, di lavorare su flebili indizi per arrivare a qualcuno. Lo faccio anche stavolta. In venti minuti, con un tam tam sotterraneo, notturno, riesco a risalire al giovane. Finalmente so dove abita, so chi è. Ricordo anche di averlo visto per strada, alla Sagra della rana. “Vive una condizione familiare disperata e una situazione personale molto difficile”, mi dice nel cuore della notte una persona che lo conosce e che sono riuscito a rintracciare svegliandola dal sonno.
Mi convinco che bisogna agire, e presto anche. Non sono a Marcianise, perderei tempo a tornare anche se di corsa. Chiamo a casa il comandante della municipale. Gli spiego tutto. “Vestiti e vai sul posto, io cerco di arrivare al più presto”. Alberto Negro non se lo fa dire due volte, chiama un collaboratore e corrono nella notte cercando di non arrivare tardi. “Avvertitemi appena avete novità “.
Mi chiamano, dieci minuti dopo mentre io corro a mia volta verso Marcianise. “Tutto a posto. Siamo a casa sua, con lui. È afflitto ma anche dispiaciuto per quello che ha causato, per tutto questo trambusto. Ma sta bene”. Di colpo mi passa l’affanno, tiro un lungo sospiro di sollievo. Mi calmo, respiro profondamente. “Sindaco, il ragazzo le vuole parlare”, e me lo passano al telefono.
Si scusa, è davvero molto dispiaciuto per questa nostra corsa nel cuore della notte. Mi spiega, mi dice molte cose. Non sto qui a raccontarle. Ho capito che tutta questa attenzione lo rende vivo, quasi felice.
È una storia di grandi disagi, la sua. È una storia di solitudine. Mi viene un groppo alla gola ascoltando le sue parole, è molto dignitoso anche nel racconto. Chiedo al comandante della municipale di tornare stamattina da lui, già penso a come coinvolgere i servizi sociali. E gli faccio una promessa: “Vengo domani, ti offro un caffè. Ma promettimi di non farci più mettere paura come hai fatto stanotte”.
Chiudo la telefonata e mando subito un messaggio a quell’amico di Facebook che mi aveva scritto. Lo aggiorno. Anche lui è molto contento, mi ringrazia. Ringrazio io lui per questo scatto di altruismo, per questo dovere civico che è merce rara. Mi resta sospesa la domanda e gliela faccio a fine colloquio: “Scusi, ma perché ha chiamato me? Perché proprio me?”. Mi risponde subito: “Non sapevo che fare, mi fido del mio sindaco e ho pensato che era l’unico che potesse fare qualcosa. Per me lei è un riferimento”.
Le parole mi colpiscono. Mi rimbombano nella mente per tutta la notte, insieme alla telefonata con quel giovane disperato. E, arrivato a casa, non riesco più a prendere sonno. È una notte chiara chiara, la mia. Un sindaco è sindaco sempre, soprattutto quando tocca la disperazione della sua gente.
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