Sono sicuro, durante qualche serata di quelle tranquille, ad esempio un martedì o un mercoledì, una di quelle giornate nel cuore della settimana, quando di solito si preferisce restare a casa, vi è capitato di passare per piazza Trieste e Trento, piazzetta Carolina o attraversare piazza del Plebiscito. Di conseguenza non avete potuto fare a meno di ascoltare la sua musica.
Nello specifico si tratta delle note di una tromba. Si, uno degli strumenti più affascinanti. Note di una melodia jazz o blues o qualche accordo di canzoni famose, italiane o straniere, e sono sicuro che vi siate chiesti: “Ma da dove viene questo suono e chi è che sta suonando?“. Almeno io me lo sono sempre chiesto. Sarà che abitando nelle vicinanze, mi è successo più di una volta di sentirlo. Una tromba, già di per se è strano, di solito per strada si vedono chitarristi o piccoli gruppi ma difficilmente ti imbatti in un trombettista.
E poi la suggestione: questo suono che accarezza ed echeggia per l’intero Plebiscito, passandoci attraverso e rimbalzando dalla basilica di San Francesco di Paola fino a Palazzo Reale, per poi ritornare di nuovo in alto, verso la chiesa. Tutto nell’oscurità della sera, i cui unici bagliori di luce ci sono donati dalle stelle, se riusciamo a vederle, o dalla luminosità della luna, bella, piena o a metà, e alta nel cielo. Insomma, una meraviglia per gli occhi e per le orecchie e lo spettacolo è gratuito e per tutti.
Così è successo che una sera, passando per quella che è una delle piazze più belle al mondo, mi sono ritrovato a pensare ad un paradosso: quanto è assurdo che il Plebiscito sia completamente al buio ma allo stesso tempo quanto è meraviglioso. E all’improvviso è accaduto, di nuovo quelle note e quelle melodie. A quel punto mi sono posto di nuovo la solita domanda solo che questa volta ho deciso di darle una risposta.
Così da Palazzo Reale ho iniziato a risalire la piazza per arrivare sino alle scale delle chiesa il cui ingresso è perfettamente al centro di uno splendido porticato fatto di colonne. Man mano che mi sono avvicinato ho iniziato a scorgere una sagoma. Poi ho capito che l’avevo trovato, la musica mi ha guidato da lui. Poi l’immagine è diventata chiara e l’ho vista tra le sue mani: la tromba! Mi sono seduto sulle scale e una volta terminato il brano mi sono alzato presentandomi.
Lui, il musicista, si chiama Giuseppe. La sua è una di quelle storie che merita di essere raccontata perché rappresenta un pezzo di quella che è l’essenza di Napoli. Un uomo di 74 anni, sposato con 4 figli tutti musicisti. Ho dovuto chiederglielo, perché non c’era gente e non c’erano nessun cappello o cesta utili per raccogliere qualche offerta. “Perché viene a suonare qui?“. Lui mi ha guardato, forse in modo stupito e mi ha risposto: “Per provare, qui c’è un’acustica perfetta e non ci sono condomini nelle vicinanze quindi non do fastidio. È un posto perfetto“.
“Tu suoni?“, ha rilanciato. Ed io, “no, ma mi piacerebbe tanto imparare. Ho anche iniziato a prendere lezioni di chitarra in passato ma non riuscivo ad esercitarmi e quindi ho smesso“. E Giuseppe, con una calma da invidiare, “e allora riprova. La musica fa bene. Bastano esercizio, volontà e passione. Mica quando sei nato sapevi parlare e camminare, però hai imparato“. Come dargli torto.
Poi ha portato di nuovo la tromba alla bocca e ha ripreso a suonare. Qualche altro accordo jazz e poi una bella e intensa cover di Terra mia, capolavoro del grande Pino Daniele. Alla fine ho scoperto che Giuseppe abita a piazza Municipio e che una volta la settimana, di solito il martedì, prova con il suo strumento sotto il colonnato della basilica, proprio vicino all’ingresso, prima di andare ad esibirsi con una banda jazz – blues in un noto locale del centro storico. “Una jam session“, mi dice, “quando ti va vieni ad ascoltarci“.
Gli ho risposto di si, ma in realtà ho mentito. Non perché non avrei avuto il piacere di guardarlo suonare su un palco con altri musicisti, ma perché pensavo di aver avuto la fortuna di ammirarlo in un’intimità unica e speciale. Ho ascoltato la sua musica e mentre ho osservato le sue dita pigiare i tasti dello strumento, di fronte a me si parava la splendida immagine di palazzo Reale. A sinistra era possibile scorgere piazza Trieste e Trento, in alto castel Sant’Elmo e a destra, in lontananza c’era il mare. Di sera non lo vedi ma tu sai che c’è, lo senti, lo percepisci.
Capirete che nessun locale e nessun’altra esibizione avrebbe potuto superare questa che avevo appena vissuto. Poi la magia si è interrotta all’improvviso, “si è otturato un pistone, devo andarlo a sistemare altrimenti non potrò suonare. È stato un piacere e mi raccomando impara a suonare. La musica, come hai visto, unisce. Buona serata“. Ed è andato via, con la solita flemma. Ed io l’ho guardato allontanarsi sotto il porticato. Ero rimasto solo, a farmi compagnia, le statue equestri del Plebiscito.
Mi sono girato e ho iniziato a scendere gli scalini. Era giunta l’ora di tornare a casa. Ma sul mio viso c’era un sorriso. Giuseppe e la mia città mi avevano regalato un momento incredibile e che non dimenticherò mai. Grazie, come si dice, la felicità all’improvviso.
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