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Strage di via Caravaggio, marito, moglie e figlia sgozzati: il mistero delle tracce di dna

La strage di via Caravaggio non sarà mai dimenticata, un cold case che grida ancora giustizia dopo 43 anni. Marito, moglie e figlia sono stati ammazzati da un assassino di cui non è mai emerso il nome e che, con l’esame del dna e l’avanzamento delle scoperte teconologiche in ambito scientifico, sarebbe potuto essere individuato. Serviva dare un nome e un volto a quei due profili genetici, classificati dalla polizia scientifica come “Ignoto 1” e “Ignoto 2”, i due assassini o l’assassino e il complice. Questo non è potuto accadere.

Come riporta il Corriere del Mezzogiorno: “Quei reperti sono stati distrutti, bisognava fare spazio“. Il mistero della scomparsa dei reperti si infittisce dal momento in cui si sta parlando di uno strofinaccio insanguinato e di alcuni mozziconi di sigarette, oggetti piccoli da conservare e che era stati mantenuti intatti nell’umido sottoscala di Castel Capuano ovvero il deposito dei reperti del Tribuanle di Napoli. Già nel 2011 la procura di Napoli  dispose di riaprire il cold case affidando alla polizia scientifica l’incarico di verificare se, da esami del Dna, fosse possibile individuare il killer. Alcune tracce venenro attrivuite al nipote della vittima, un altro oscuro tassello nel misterioso ed efferato delitto di via Caravaggio.

LA STRAGE DI VIA CARAVAGGIO: L’AGGHIACCIANTE RICOSTRUZIONE DEL “DELITTO PERFETTO”

Il caso è però molto più intricato di quel che sembra infatti per il triplice omicidio di Gemma Cenname, 50 anni, il marito sposato in seconde nozze Domenico Santangelo, 54 anni, e la figlia di quest’ultimo, Angela, 19 anni, c’è sempre stato un solo imputato, Domenico Zarrelli, nipote di una delle vittime. L’uomo ha già subito tre processi, condannato all’ergastolo in primo grado fu assolto due volte in appello con conferma della Cassazione in via definitiva. Dopo 40 anni il suo dna è stato rinvenuto su alcuni mozziconi di sigarette e su un canovaccio che all’epoca dei fatti furono trovati nell’appartamento. Per il principio giuridico “Ne bis in idem” (non si può processare per una seconda volta per lo stesso reato una persona già assolta con sentenza definitiva) Zarrelli non può più essere processato per lo stesso caso dunque il presunto colpevole resterà per sempre tale. Inoltre i legali di Zarrelli davanti al gip hanno sostenuto la tesi dell’errore dovuto alla contaminazione dei reperti.

Delle altre due tracce di Dna presenti invece non si potrà sapere più nulla. L’unica certezza sta nella mancata soluzione del delitto, il mostro rimarrà senza volto e le vittime senza giustizia.

Fabiana Coppola

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