Carmela e Dario sono una coppia napoletana che hanno voluto sottoporre alla nostra attenzione una storia, un esempio di mala-sanità avvenuto in Campania, un dramma che ha sconvolto la loro vita cambiandola per sempre. Una diagnosi tardiva che ha causato la morte del loro primo figlio dopo una gravidanza sognata e attesa da tempo. Un dolore enorme che ha distrutto le loro vite.
Una coppia felice piena di progetti, una gravidanza tanto desiderata, un sogno. Poi la tragedia. Al sesto mese di gravidanza (23+2 settimane di gestazione) ai genitori viene comunicata una notizia che si presenta come un fulmine a ciel sereno, il feto è affetto da anencefalia. Uno choc per i genitori, i precedenti controlli strutturali erano tutti regolari, nessuna anomalia riscontrata. La patologia diagnosticata al bambino è una malformazione solitamente piuttosto evidente, il feto appare privo totalmente o parzialmente della volta cranica e dell’encefalo, per tale motivo è solitamente riscontrabile nel corso dei controlli. La condizione di totale assenza della volta e dei tessuti determina la morte certa del nascituro.
Nonostante tutto Carmela ha portato avanti la gravidanza, essendo la diagnosi tardiva ed essendo fuori dai tempi massimi che in Italia prevedono l’aborto. La legge stabilisce che può essere praticato l’aborto fino a 90 giorni e l’aborto terapeutico fino a 180 giorni. Carmela e Dario hanno quindi appreso tardivamente della malattia del figlio, questa diagnosi ha non solo stravolto le loro vite ma impedito ai futuri genitori di vagliare la possibilità di interrompere la gravidanza e non sottoporsi ad uno stress e un dolore immenso. La donna ha dato alla luce il feto, sopravvissuto per dieci giorni. L’accaduto è stato un momento di vita tragico per la famiglia, Carmela è entrata in un profondo stato depressivo e da quando ha perso il suo bambino non riesce più a parlare. Questa la conseguenza di un errore, una disattenzione che è costata troppo ad una famiglia.
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