Un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature attesta per la prima volta che le due bocche della Solfatara di Pozzuoli sono unite ad un solo grande serbatoio posto a 60 metri di profondità.
Un lavoro portato avanti da un’equipe internazionale dell’Università di Savoia e Grenoble, dell’Istituto di Ricerca dell’Università di Tokyo, Ingv, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Bologna, Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma, Osservatorio Vesuviano di Napoli e Università Roma Tre.
Uno studio che porta per la prima volta in luce una questione inedita, si vede dalle immagini “un sistema idraulico fumarolico che utilizza la tomografia tridimensionale della resistività elettrica e una nuova localizzazione del rumore acustico”. “Delineiamo un serbatoio di gas che alimenta le fumarole attraverso canali distinti. Basato su questa geometria, un modello termodinamico rivela che la miscelazione in prossimità della superficie tra gas e vapore condensato spiega le distinte composizioni geochimiche delle fumarole che provengono dalla stessa fonte. Tale modellizzazione delle interazioni fluide consentirà la simulazione di processi dinamici di degassamento magmatico, che è cruciale per il monitoraggio dei disordini vulcanici”.
Lo scopo di questo innovativo studio è anche approcciare ai disordini vulcanici al fine di monitorare al meglio l’attività vulcanica e quindi anche eventualmente i pericoli per la cittadinanza.
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