Le dichiarazioni di Antonio Marfella, medico oncologico del Pascale di Napoli, che ha ammesso apertamente di scegliere una struttura di Milano per curare il cancro hanno diviso il mondo della medicina tra coloro che hanno capito e avallato la sua tesi e coloro i quali non hanno assolutamente condiviso la scelta. In queste ore sono emersi anche altri nomi di medici che hanno scelto altre regioni per farsi curare.
Vista la polemica sollevata, Marfella ha preferito chiarire la situazione con una lettera a cuore aperto indirizzata al Corriere: “Caro direttore, ognuno di noi, medici compresi, non è mai sufficientemente lucido quando riceve la sua personale diagnosi di cancro e può venire facilmente indotto in errore dalla stessa reazione di non cedere al male che deve affrontare. Ora non sono più solo un medico, né del Pascale, né di altra azienda: sono un ammalato che lotta per la vita e deve decidere cosa fare, dove andare, come tentare di non farsi vincere dalla malattia che, come affermava Veronesi, non io, tra ormai pochi anni colpirà un cittadino su due”.
“Io ho scelto di fare la trafila di un qualsiasi cittadino, ed ho fatto i normali percorsi diagnostico-terapeutici di tutti, non usando il privilegio di appartenere alla grande e prestigiosa «famiglia» dei medici del Pascale. Ora sono in lista di attesa, come tutti i pazienti campani che non godono dei privilegi di cui io potrei godere. Lo potevo e lo potrei ancora evitare, sia al Pascale che altrove. È veramente un’angoscia vivere con il cancro, ogni giorno che passa, e lo si comprende bene solo da paziente: solo passando dall’altra parte. Come medico del Pascale sono anche componente della commissione per il monitoraggio e la verifica delle attività intramoenia che comprende il controllo delle liste di attesa”.
“So perfettamente quanto ottimo lavoro sia stato fatto per ridurre le liste di attesa da sei mesi (una vergogna!) a circa trenta giorni. So molto bene anche quanto mi è costato. Come medico mi bastava, come paziente no. Neanche in verità potevo però immaginare quanto la mia modesta persona e figura professionale sia identificata con tanto affetto e stima col mio Istituto di appartenenza e quindi la risonanza mediatica del mio percorso da paziente, dall’altra parte. Anche questa è stata una scoperta non cercata. Come ha certificato non più tardi di un paio di mesi fa il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, prof Riccardi, l’intera sanità campana, non certo solo il Pascale, soffre di gravi carenze strutturali ed organizzative, che ci portano a molti anni in meno di aspettativa di vita media. Abbiamo numerose eccellenze individuali, ma assolutamente non organizzazioni di eccellenza, tutt’altro. Pertanto, anche numerosi medici e primari campani spesso non restano a curarsi in Campania”.
“Le mie scelte tecniche di percorso diagnostico–terapeutico da paziente come tutti (per scelta in questo caso non appartenente alla grande «famiglia» del Pascale, e quindi comunque privilegiato) sono inoppugnabili. Come medico posso avere ferito, e ho il dovere del ruolo di chiedere scusa innanzitutto di avere scelto di non volere godere del privilegio che mi compete per ruolo. Come paziente no, niente affatto: viva Dio! ho spronato”.
“Amo il mio Istituto e la sua migliore organizzazione più di quanto tema il mio cancro. Parlando della mia esperienza, ho bene illuminato anche i politici e le «iene» varie che speculano, non solo sul mio caso contro di me ed il mio Istituto, ma contro la corretta informazione a tutti i cittadini campani sui problemi organizzativi reali comunque esistenti nella nostra sanità, a partire dal mancato controllo dell’ambiente in cui viviamo. Adesso sono dall’altra parte, quella degli ammalati. Forse io dall’altra parte, come medico anargiro, ci sono sempre stato. Come è stato già dimostrato proprio con l’esperienza dei grandi medici nel libro «Dall’altra parte» che hanno costituito la migliore Commissione Sanità del ministro Livia Turco. Come ho già proposto da anni e ribadisco adesso, accettando il «tritacarne mediatico» che ha colpito innanzitutto la mia famiglia, perché non pensare di utilizzare medici ammalati per fare la migliore commissione alla Sanità, non politica né politicizzata, per affrontare ma soprattutto risolvere veramente i problemi organizzativi evidenti della Sanità campana? Facciamolo velocemente, non perché lo vuole la politica, ma perché lo vogliono i pazienti campani. Quelli «dall’altra parte», compresi i medici come me oggi..”.
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