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Napoli, due donne uccise per “purificare il mondo”: la storia di Andrea Rea, il mostro di Posillipo

Andrea Rea, conosciuto come il mostro di Posillipo, è stato fermato il 3 settembre del 1989 per l’omicidio di Silvana Andreozzi, una donna il cui corpo fu ritrovato all’interno di una valigia sulla spiaggia di Marechiaro. Dopo qualche giorno, però, confessò un altro brutale delitto avvenuto 6 anni prima, quello di Anna Bisanti una giovane di 27 anni uscita di casa e mai più tornata, il suo corpo non fu mai recuperato perché Rea se ne disfò in mare.

I delitti di  Andrea Rea si scoprirono soltanto dopo il ritrovamento della valigia in uno degli scorci più belli della città. Fu una bambina ad accorgersi che da quella grande borsa gocciolava un liquido rosso, non appena arrivò la polizia ci fu l’atroce scoperta, all’interno del bagaglio c’era il corpo nudo avvolto in un lenzuolo di Silvana Andreozzi, aveva le mani legate, la bocca chiusa con lo scotch e ferite alla gola e alle mammelle. Inizialmente si era pensato che l’omicidio potesse essere legato alla criminalità organizzata, il giorno in cui fu trovata la valigia, si stava svolgendo il pranzo per la comunione delle due figlie del boss di Secondigliano. Ma quando la vittima fu identificata si comprese subito che non aveva nulla a che vedere con il mondo camorristico e si cominciò a comprendere che potesse aver conosciuto il suo assassino nella casa di cura Villa Anna, dove era stata ricoverata per disintossicarsi dalla dipendenza da eroina.

A casa di Silvana Andreozzi, un monolocale di Vico Salciccia, gli investigatori trovarono vestiti ammucchiati per terra, bottiglie di vino vuote, il necessario per prepararsi una dose e un coltello a seghetto, quello utilizzato per tagliare il roastbeef, che era l’arma con cui l’assassino aveva inflitto 16 coltellate alla donna, lasciandola morire lentamente. Gli inquirenti appena risalirono al suo ricovero nella casa di cura, capirono subito che il suo assassino potesse averlo conosciuto lì. I sospetti ricadono subito su Andrea Rea, ricoverato nella stessa struttura per gravi turbe psichiche acuitesi dopo la morte del fratello 17enne, una psicosi dissociativa in personalità esuberante con forti manifestazioni istintive. Le stesse che lo portarono a essere arrestato già due volte per violenza carnale nei confronti di una turista finlandese e di una sua conoscente napoletana, che aveva conosciuto a Ischia. Nell’85 fu coinvolto anche nelle indagini sul mostro di Firenze, ma in quell’occasione aveva un alibi di ferro.

Rea in 13 ore confessò il brutale omicidio di Silvana, dicendo “L’ho uccisa, lei voleva uccidere mio padre“, poi raccontò che voleva liberare il mondo dalle donne. Durante l’interrogatorio fu subito evidente la sua schizofrenia. Disse che quella domenica dopo aver mangiato con i genitori, aveva preso un coltello dalla cucina e si era recato a casa della Antinozzi. Dopo essersi disfatto del bagaglio, che in un primo momento voleva gettare in mare, prese un treno diretto a Milano, per poi prendere un altro per Nizza. Dalla città francese aveva contattato i genitori a cui aveva detto di essere in una casa di cura, il padre partì subito con il suo medico curante e lo riportò a Napoli.

Poco dopo il suo arresto Rea confessò di aver ucciso un’altra donna il giorno di Natale del 1983, si trattava di Anna Bisanti, una sua conoscente malata di cancro. Fu giudicato incapace di intendere e di volere e condannato a 15 anni da scontare presso un ospedale psichiatrico. Nel 2003 quando mancava solo un anno da scontare, Rea eludendo il suo accompagnatore per le uscite esterne, fuggì di nuovo, per fortuna fu ritrovato ore dopo a Milano dai carabinieri.
Nominato il mostro di Posillipo, Rea era un amante della cultura indiana e delle scritture sanscrite, durante il suo ricovero nella casa di cura, faceva parte degli internati a cui era permesso partecipare alle gite esterne.

Quando Rea uccise la seconda vittima era tornato in libertà perché il giudice di sorveglianza aveva revocato la misura di sicurezza, una scelta che poi, considerato il tragico epilogo, si è rivelata errata.
All’epoca, infatti, fu aperto un lungo dibattito sui due omicidi commessi da Andrea Rea. Durante la sua permanenza, secondo il direttore del manicomio giudiziario, Pasquale Avvisati, con la cura di psicofarmaci e l’impegno nei lavori da scrivano, non aveva presentato difficoltà. Una volta dimesso, però, si sarebbe dovuto sottoporre a controlli psichiatrici costanti, cosa che non avvenne perché non esisteva a quei tempi un servizio territoriale. E’ questa la grave accusa che mosse Franco Daniele, presidente dell’associazione che unisce i familiari dei sofferenti psichici. A detta sua ci sarebbe dovuto essere un controllo maggiore, ma soprattutto avvertimenti nei confronti di quelle donne con cui Andrea, persona turbata a livello psichico, era entrata in contatto, e forse secondo lui i due brutali omicidi sarebbero potuti essere evitati.

redazione

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