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Andrea morto per ritardi nei soccorsi, condannati due medici. La madre: “E’ stato un calvario, finalmente la verità”

Dopo 7 anni è arrivata la condanna contro i due medici dell’ospedale Fatebenfratelli che prestarono soccorso ad Andrea Colace, un giovane di 23 anni che nella notte tra il 9 e 10 luglio del 2010 ebbe un incidente stradale a bordo del suo motorino. Giunto al pronto soccorso del noscomio di via Manzoni, secondo quanto confermato anche dalla condanna del giudice, non ricevette tempestivamente le cure mediche necessarie.

L’intervento di packing che avrebbe potuto salvargli la vita gli fu effettuato tardi all’ospedale Cardarelli, dove fu trasferito soltanto dopo tre ore. Ore che per il giovane 23enne sono risultate essere fatali. Dopo 7 anni, periodo in cui il processo ha rischiato di finire in prescrizione, è arrivata la condanna: un anno di reclusione ai due medici dell’ospedale Fatebenefratelli accusati di omicidio colposo, Andreana Martella e Vincenzo Cirigliano. Una condanna che per la madre di Andrea, Caterina Stellato, è il risultato di anni di lotte per riuscire a fare chiarezza su quella tragica notte. Una condanna che le dà ragione, si doveva agire in altro modo per provare a salvare la vita di suo figlio. Una condanna che non riporterà indietro un giovane di 23 anni pieno di gioia di vivere. Una condanna che restituisce a Caterina e alla sua famiglia finalmente la verità.

L’intervista a Caterina Stellato

Dopo sette anni è arrivato un risultato, lei non ha mai smesso di lottare, come si sente dopo l’arrivo di questa condanna?
Non la giudico, se dovessi esprimere un giudizio direi che sarebbe dovuta arrivare prima. Purtroppo i primi 3 anni e mezzo sono stati persi per le richieste d’archiviazione che venivano avanzate, poi c’è stato il cambiamento del giudice, quindi, è dovuto ricominciare tutto da capo, è come se fosse partito nel 2015. Il tempo ha logorato tutto, peccato che non possano esserci altri gradi di giudizio. Almeno ho avuto la risposta che attendevo da anni, la conferma ai miei sospetti e a quello che ho sostenuto in questi 7 anni con l’aiuto dei miei avvocati. La sentenza non mi ridarà mio figlio, ma questo lo dovevo a lui, perché non era quello il momento in cui doveva andarsene, a 23 anni e non per sua responsabilità. E’ capitato sotto le mani di chi aveva il dovere di salvargli la vita, è inaccettabile, potevano perlomeno tentare e lì non è stato fatto nulla. La rabbia è dovuta al fatto che io so che Andrea oggi poteva essere qui con noi. 

E’ stata una sentenza che arriva al culmine della prescrizione, come si è sentita in questi 7 anni in cui ha lottato per far emergere la verità?
Ho dovuto percorrere un ulteriore calvario, oltre ad aver avuto un dolore così grande, che non auguro a nessun genitore, ho dovuto dimostrare che i fatti erano diversi da come li sostenevano, mi sono sentita quasi io l’imputata. Questa è stata la cosa faticoso, ciò che ha peggiorato le mie condizioni, io dovevo combattere con un dolore che non è gestibile e in più affrontare tutto ciò. Sono contenta di esserci riuscita. Un anno di condanna o tre, poco cambia, tanto queste persone in carcere non andranno. Perlomeno ho avuto una risposta. 

Cosa si sente di dire ai due medici condannati?
Se hanno una coscienza, sanno cosa è accaduto. Non l’hanno mai ammesso e mai lo faranno, ma sanno di essere responsabili. Credo che anche loro abbiano dei figli, quindi, possono immaginare il dolore che sento. Queste persone non hanno avuto neanche il coraggio di presentarsi all’udienza. Se io non ho colpe vado in tribunale a gridare la mia innocenza e a spiegare perché non sono colpevole e quali sono le mie ragioni.

Crede che questa condanna possa servire d’insegnamento affinché non ci siano più episodi di questo tipo nel mondo della sanità?
Io mi auguro che queste strutture ospedaliere abbiano i requisiti, soprattutto i medici del pronto soccorso, per riuscire a salvare la vita delle persone. Non si può attendere un’ora per fare una diagnosi a un ragazzo che arriva a seguito di un incidente stradale. E’ vero poteva aver assunto sostanze stupefacenti, come avevano pensato, cosa che poi è stata smentita dagli esami, ma non perdi tempo a somministrare farmaci, che potrebbero anche aver aggravato la situazione clinica di mio figlio, non si può attendere, la prima cosa che si doveva fare era capire cosa aveva, soprattutto se è arrivato con un politrauma, per verificare se ci fossero lesioni agli organi interni. E’ inammissibile che avvenga una cosa del genere nel 2010 (ndr. anno in cui accadeva l’incidente). Qui si parla della nostra vita e di quella dei nostri figli. Era un intervento semplice, il packing, nato per tamponare le emorragie interne ai tempi della guerra. Io mi rivolgo a chiunque si trovi a vivere una situazione come la mia, in cause di colpe mediche non bisogna mollare e combattere finché la verità emerga. Purtroppo so che episodi del genere capiteranno sempre, un evento simile è accaduto all’ospedale Loreto Mare quest’estate (ndr. morte di Antonio Scafone). 
C’è chi focalizza l’attenzione sul risarcimento, in questi anni ho investito tutti i miei risparmi, lottando sola, per far sì che la verità venisse a galla. Quando ho iniziato non sapevo come sarebbe andata a finire. Non c’è un prezzo per la vita di mio figlio. 

 

redazione

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