Mesate più alte ai loro mariti perché “hanno fatto la storia del clan, sono quelli che hanno conquistato i soldi dei negozianti”. Emerge anche questa “particolare” richiesta nell’indagine che ha portato questa mattina i carabinieri del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata a eseguire un decreto di fermo di indiziato di delitto disposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli nei confronti di 12 affiliati al clan Gionta ritenuti responsabili di estorsione, detenzione e porto illecito di armi, aggravati da finalità mafiose.
Tra i fermati ci sono anche i due attuali reggenti della cosca dei “valentini“, inchiodati anche da alcuni pizzini ritrovati dagli inquirenti nel corso delle indagini, avviate nel luglio del 2016, ed etichettati dagli affiliati come “i due boss che abbiamo adesso”. Si tratta del sorvegliato speciale Vincenzo Amoruso, 47 anni, e del libero vigilato Luigi Della Grotta, 49 anni, conosciuto con l’alias “Gigino Panzerotto”. Questi ultimi hanno preso il comando dei clan dopo l’arresto di Ciro Nappo, 44 anni, noto come “Ciruzz capa r’auciello”, che aveva diretto il sodalizio criminale fino al suo arresto avvenuto il 26 maggio 2016 in un casolare agricolo di Trecase (Napoli) dopo un anno di latitanza. Lo stesso Nappo è destinatario del decreto di fermo di quest’oggi.
L’ARRESTO DI CIRO NAPPO:
Le indagini hanno documentato la diffusa e sistematica attività estorsiva – attuata dal clan mediante violenza e minacce anche implicite – su tutto il territorio di Torre Annunziata. Almeno venti le condotte estorsive riscontrante ai danni di 14 tra imprese, esercizi commerciali, società di ormeggi e centri medici, ai quali veniva imposto, in misura variabile in base alla capacità economica della vittima (fino a 4mila euro mensili), il pagamento di un “regalo per gli amici detenuti” che avveniva con cadenza mensile, annuale o in occasione delle tre principali festività (Natale, Pasqua e Ferragosto). Gli affiliati raccoglievano le estorsioni seguendo una autentica mappatura che consentiva di individuare i negozi che dovevano pagare i Gionta da quelli che invece appartenevano all’altro clan torrese, quello dei Gallo-Cavalieri.
L’OPERAZIONE ESEGUITA ALL’ALBA DAI CARABINIERI: 12 I FERMI
Lo stesso clan Gionta – secondo quanto ricostruito dagli investigatori – aveva poi siglato dei patti criminali con le organizzazioni camorristiche dei Gallo-Cavalieri e Limelli-Vangone (operanti rispettivamente a Torre Annunziata e nei comuni limitrofi di Boscotrecase, Boscoreale e Trecase), per la spartizione del territorio di influenza e delle imprese da taglieggiare. Denaro che viene utilizzato dal clan per il sostentamento delle famiglie degli affiliati. In quest’ottica è stato registrato forse uno degli episodi più inquietanti che vede protagonista le mogli degli affiliati storici del clan. Quest’ultime pretendevano un mantenimento “privilegiato”, in quanto i mariti “hanno fatto la storia del clan, sono quelli che hanno conquistato i soldi dei negozianti”. Emblematico è il caso della moglie di un ergastolano la quale rimprovera al clan uno scarso attivismo nella gestione del racket, con grave pregiudizio per lo stipendio di tutti gli affiliati.
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