La scomparsa a 96 anni di Ciro Cirillo, ex assessore ed ex presidente della Regione Campania, porta con se tutta una serie di interrogativi che negli scorsi decenni sono stati coperti dalla Democrazia Cristiana.
Cirillo fu sequestrato il 27 aprile del 1981 dalle Brigate Rosse quando era assessore regionale all’Urbanistica in un sanguinoso rapimento avvenuto a Torre del Greco, Napoli, dove vennero uccisi il maresciallo di polizia Luigi Carbone, e l’autista Mario Cancello, mentre fu ferito alle gambe l’allora segretario di Cirillo. Dopo 89 giorni l’assessore venne rilasciato in seguito a una lunga trattativa, mai confermata, che vide protagonisti la Democrazia Cristiana, il super boss Raffaele Cutolo (all’epoca capo della Nuova Camorra Organizzata e detenuto ad Ascoli Piceno), i Servizi Segreti e le Brigate Rosse.
Cirillo venne rilasciato all’alba del 24 luglio del 1984. Quel giorno accaddero alcuni episodi inquietanti che Enzo La Penna, giornalista napoletano di giudiziaria dell’Ansa, su Facebook ha ricostruito con puntualità.
Ciro Cirillo fu rilasciato dalle Brigate Rosse all’alba in via Stadera a Poggioreale. Esisteva una disposizione della procura secondo la quale, se liberato, doveva essere portato immediatamente in questura o nella caserma Pastrengo dei carabinieri per essere interrogato (anche sulla trattativa di cui già si parlava in maniera diffusa). Lo trovò, dopo una telefonata delle Br all’Ansa di Napoli, una pattuglia della stradale che, nel rispetto degli ordini dall’autorità giudiziaria, si diresse verso la questura. Ma arrivati all’altezza del Ponte di Casanova (a poche centinaia di metri) la vettura della Stradale fu bloccata da quattro o cinque Volanti. “L’assessore è servizio nostro!”. Il capopattuglia della Stradale non voleva cedere, pretendeva persino un ordine scritto, ma i colleghi per farla breve prelevarono l’assessore, lo caricarono su una Volante e lo condussero nella sua abitazione a Torre del Greco. Quando qualche ora dopo arrivarono i magistrati venne loro detto che Cirillo stava riposando e non era in condizioni di parlare. I magistrati appresero che l’assessore si era però già incontrato
con alcuni colleghi di partito, tra i quali anche esponenti di rilievo (si ipotizzò che si fossero precipitati nella villa per raccomadargli il silenzio assoluto sulla trattativa e la colletta per il riscatto consegnata alle Brigate Rosse). La vicenda passo alla storia come “Il secondo sequestro Cirillo” (la prima.volta rapito dalle Br la seconda dallo Stato). Quando anni dopo, il giudice istruttore Carlo Alemi (nell’isolamento più assoluto, osteggiato da buona parte della magistratura e sottoposto a violenti attacchi dalla stampa) nel tentativo improbo di fare chiarezza, convocò come testimone il capopattuglia della Polizia Stradale, si accorse che questi durante l’interrogatorio sbirciava un foglietto con appunti che qualcuno gli aveva consegnato perché recitasse una versione edulcorata dell’accaduto. “Cosa sta leggendo? Mi dia quel foglio!”, ordinò il giudice. Ma il poliziotto con atto fulmineo appallottolò il foglietto e se lo portò alla bocca cominciando a masticarlo. Quando i carabinieri chiamati da Alemi glielo fecero sputare era ridotto a una poltiglia. Anche questo accadeva a quel tempo…
Dopo la liberazione di Ciro Cirillo, furono eliminate nei mesi e negli anni successivi tutte le prove sulla trattativa tra lo Stato e la camorra. In un articolo pubblicato su Repubblica il 12 aprile del 2011, Giuseppe D’Avanzo ha ricostruito la scia di sangue di quegli anni:
Lo scoop è l’inizio della più imponente operazione di cancellazione di prove e di morte di testimoni che abbia mai funestato un caso politico-giudiziario. Muoiono i latitanti che trattarono dentro e fuori il carcere per conto di Cutolo. Muoiono gli ufficiali dei servizi segreti che accompagnarono la trattativa. Muore l’avvocato di Cutolo che faceva da messaggero. Muore l’ambasciatore delle Brigate Rosse. Muoiono suicidi i compagni di cella del camorrista. Le Brigate Rosse si incaricano di ammazzare Antonio Ammaturo che aveva ricostruito la vicenda in un dossier spedito al Viminale e scomparso per sempre. Nonostante le difficoltà, il giudice istruttore Carlo Alemi, il 28 luglio 1988 deposita la sua ordinanza di rinvio a giudizio e scrive delle trattativa e del “patto scellerato” stretto dalla Dc con la camorra. Antonio Gava è il ministro degli Interni della Repubblica nel governo presieduto da Ciriaco De Mita. Che tuonerà: “Alemi è un giudice che si è posto fuori del circuito istituzionale”.
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