Vedi Napoli e poi diventi uno dei massimi esperti mondiali di storia dell’arte. Ne sa qualcosa Sylvain Bellenger, 62 anni, da 18 mesi direttore del Museo e del Bosco di Capodimonte, folgorato dalle bellezze artistiche della città quando la visitò a 24 anni. Nato in Normandia, Bellenger ha diretto musei in Francia e negli Stati Uniti. Da novembre 2015 è alla guida di Capodimonte dove resterà in carica per quattro anni. Dal 2016 le visite (180,705) al museo sono aumentate del 24% rispetto all’anno precedente. Nel 2017 il dato è destinato a salire ulteriormente e quota 250mila visitatori sembra un obiettivo facilmente raggiungibile.
Un traguardo fino a pochi anni fa insperato per il museo di Capodimonte che con l’arrivo di Bellenger ha avuto una vera e propria rivoluzione, anche in ambito digitale. I social (Facebook, Twitter e Instagram) sono stati implementati proprio per raggiungere quanta più gente possibile. Oggi Capodimonte ha oltre 200 dipendenti, la cui età media è di 60 anni. L’obiettivo del neo direttore è quello di ringiovanire il personale e internazionalizzare ulteriormente sia il Bosco che il Museo.
In una lunga intervista per la rivista Discover Naples, Bellenger non si risparmia e affronta pregi e difetti di una città unica come Napoli.
Direttore Bellenger, ci spiega il suo rapporto con Napoli?
La città la conoscevo da anni. Venni la prima volta da solo a 24 anni, quando ero professore di Filosofia a Parigi. Ero in un albergo a Conca dei Marini, in Costiera, e ogni mattina prendevo l’autobus per venire a visitare Napoli.
Cosa la colpì principalmente?
Tutto, ma principalmente la pittura di Masaccio. Rimasi folgorato. Decisi quindi di cambiare direzione e dedicarmi alla storia dell’arte. Tornai a casa e dissi ai miei genitori che vivevano in Normandia, mentre io vivevo a Parigi (perché noi francesi lasciamo la famiglia a 17 anni), di voler iniziare a studiare storia dell’arte. La cosa li spaventò ma poi col tempo hanno capito.
Che cosa è cambiato a Capodimonte rispetto a quando la visitò in passato?
Quando visiti il museo come curatore la tua visione cambia completamente rispetto a quella di un visitatore. Così come quando sei direttore. Non hai più nessun piacere a visitarlo perché guardi solo le cose che non vanno bene…
Ci sono tanti difetti da correggere?
Vuoi l’elenco? (ride, ndr). In Italia le cose che non vanno sono diverse.
Si spieghi…
Il pubblico non è al centro della missione. Paradossalmente lo sono invece i funzionari, l’amministrazione pubblica, il che è una follia totale.
Poi?
I giovani sono stati privati dell’arte, sono fuori dalle strutture culturali e questo è un problema enorme. Non parliamo lo stesso linguaggio loro. Io lo parlo di più perché in America sono cresciuto e ho lavorato in modo diverso, utilizzando sistemi nuovi. Già negli anni ’90 mandavo una mail al professore non un messaggio scritto, una raccomandata. Capodimonte non ha un inventario informatico, è tutto su carte. La nostra amministrazione è vintage (ride, ndr).
Su cosa state lavorando per cambiare questa vecchia abitudine?
Sull’accoglienza, che è un concetto molto largo. Grazie ai giovani che stanno lavorando a Capodimonte, abbiamo un sito internet molto più dinamico. Abbiamo profili social curati bene, perché la comunicazione oggi si fa sui siti social. Le istituzioni devono utilizzare questi canali per presentarsi, per rivelare la propria identità. Qui invece si è rimasti a una presentazione ministeriale che capisce solo il funzionario. Si utilizza un linguaggio obsoleto, assurdo, che io non capisco. Quando parlo, ad esempio, a telefono, con gli amministrativi di Roma ci capiamo perfettamente. Poi mi scrivono in via ufficiale e non capisco nulla.
Come si spiega questa cosa?
Due generazioni sono state saltate. Il personale, l’amministrazione, è ormai vintage o, meglio ancora, antiquato.
Vado avanti per la mia strada e i risultati piano piano stanno arrivando, anche in modo veloce. Ho un incarico di 4 anni. Inizialmente pensavo di riuscire solo a mettere le cose a posto, invece siamo a metà percorso ed è già arrivato un successo visibile sia per le mostre, sia per il Museo che per il Bosco.
Un miracolo…
Le cose più difficili a Napoli sono quelli normali, come avere le luci che funzionano. Questo richiede una forza di Ercole. Invece abbiamo fatto una mostra di Picasso in 8 mesi che non avremmo mai potuto fare sia in Francia che in America.
Questo perché c’è uno spirito di adattamento?
Io la chiamo “qualità dei difetti”, non c’è nessuna capacità di anticipare: è questo non è napoletano ma italiano in generale. Ad esempio riceviamo dal Mibact (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ndr) lavori che chiedono un mese di tempo ma da consegnare invece per il giorno dopo. Perché hanno aspettato tutto questo tempo per mandare una comunicazione del genere?
Sta dicendo che c’è molta disorganizzazione?
C’è un una gestione dell’emergenza incredibile. Tutti i funzionari sono trasformati in pompieri. Non c’è programmazione, non c’è una visione. Questo ci dà la capacità di reagire con una straordinaria efficacia ma il prezzo da pagare è che non c’è ambizione. L’Italia è un paese che manca gravemente di ambizione. Qui troviamo bene delle cose che sono mediocri. Siamo abituati a vedere mostre che non sono mostre ma solo un’imitazione. Tutto questo è diventato non solo una disorganizzazione ma una vera e propria cultura quotidiana.
Ci faccia un esempio.
Quando vivevo in America anche le serate con gli amici erano programmate. Invece qui è diverso: ci sentiamo alle 6 per vederci alle 7, sempre all’ultimo momento. Non so perché, forse per conservare sempre la massima libertà. E’ una cultura di un individualismo totale che porta a una grande libertà ma anche a tanto stress. Vi faccio un altro esempio: ho lavorato per una mostra enorme che ho fatto tra Parigi, New York, Montreal, Chicago e Washington. Una mostra che ho fatto con una grande facilità perché era tutto programmato. Il lavoro a Capodimonte invece è stancante, arrivo a fine giornata che sono sfinito.
I quattro anni valgono doppio?
Qui ogni giorno vale una settimana perché è tutto così confuso, disorganizzato. Spesso entra la mia segretaria per farmi firmare qualcosa di urgente che arriva da Roma.
Aspetti positivi ne ha riscontrati?
Abbiamo fatto un programma di mostre fino al 2021 e l’abbiamo anche presentato al presidente della Regione. Posso dire che si è spaventato…
Non se l’aspettava?
Mi ha chiesto “come mai l’ha prevista fino al 2021? Io non so cosa farò domani…”. Senza programmazione l’Italia si isola. Le racconto un altro aneddoto. Quando qualche mese fa vennero recuperati i due quadri rubati di Van Gogh, li esponemmo per un breve periodo qui al museo. La giornata d’inaugurazione fu bellissima. Fu una giornata dal valore morale, sociale, civico, prima che artistico. Quel giorno il presidente della Regione (Vincenzo De Luca, ndr) ha annunciato che si sarebbe presto tenuta una mostra di Van Gogh a Napoli. Un’idea che mi ha entusiasmato, poi…
Era uno scherzo?
No. Però dopo che ho chiamato il direttore del museo di Amsterdam, che è un mio caro amico da 30 anni, la cosa è saltata.
Come mai?
Mi ha detto “caro Sylvain, ti voglio bene, ma noi abbiamo già un programma di prestiti fino al 2021. Potremo fare una mostra a Napoli nel 2022…”. Se non si fa così, se non entri in questo mondo che anticipa il futuro, resti da solo. Resti isolato, rispetto ai musei europei e del mondo. L’Italia purtroppo soffre di due cose
Quali?
E’ territoriale, divisa per città, regioni. Così torna il campanilismo. Il territorio non è la Repubblica, bensì è inteso città per città. Su questo siete molto divisi.
Cosa le piace dei napoletani?
E’ una domanda troppo complessa. Nel 2010 sono stato un anno intero a girare per la città, mi alzavo la mattina ed ero immerso a Napoli come in un libro. Uno dei miei personaggi preferiti è sempre stato Totò. Ora però non lo sopporto più.
Addirittura?
Perché Totò entra nel mio ufficio ogni tre minuti. Con una storia alla Totò da gestire, con delle soluzioni alla Totò, che non sono delle soluzioni. Così il senso del burlesco napoletano che mi divertiva tanto adesso mi fa arrabbiare. Questo significa forse che sono diventato un vero napoletano…
E’ un po’ amareggiato da questi atteggiamenti?
Napoli ha delle cose molto belle: è uno degli ultimi luoghi che ha conservato qualcosa di naturale. Qui c’è una sensibilità umana, anche del passato, che esiste tutt’oggi rispetto ad altre città italiane, compresa Roma, che hanno perso la propria anima. Napoli l’ha conservata, forse ha fin troppa anima.
Come pensa di poter migliorare la “qualità dei difetti”?
A Chicago è nata la fondazione “Amici di Capodimonte” composta da tutti italiani tra cui napoletani emigrati in America, il cui successo all’estero è straordinario. La fondazione di diritto americano ha l’obiettivo di portare la lingua inglese al Museo di Capodimonte. Quindi la prima cosa che mi hanno assicurato è un curatore americano che verrà qui per 2 anni, pagato da loro. Poi mi hanno chiesto se fossi riuscito a cambiare Capodimonte in questi anni da direttore?
Che cosa ha risposto?
Che per cambiare Capodimonte devo cambiare prima io. Vi racconto un altro particolare emblematico: un giorno stavo andando a pranzo in una trattoria vicino al Bosco e c’era una signora che stava prendendo da un albero un ramo di alloro. La fermo e le dico “signora me lei non è al mercato”. Lei, dopo aver appreso che ero il direttore del Museo, mi guarda e mi fa “è più alto di me, mi dà una mano?”.
Alla fine l’ha aiutata?
Certo. Per la signora il Bosco era suo, così come tutto. Parlare di regolamenti, di rispetto per la natura, non aveva senso per lei. Questo è un individualismo totale che è tipico di questa città. A Napoli è sempre tutto fantastico e terribile, bello e brutto, non ci sono sfumature. Napoli è una bellezza ferita, umiliata innanzitutto dai napoletani stessi. Se tu scrivi il nome della tua ragazza su un’opera del ‘600 questo non è bello, è di una ignoranza totale.
Ignoranza però dovuta anche alla mancanza di possibilità che si hanno qui. Concorda?
Sarà anche vero che i giovani non hanno futuro ma la loro reazione finisce col danneggiare solo loro e il resto dei cittadini anche se in città c’è poca autorità. A Parigi, dove essere giovani è diverso (ad esempio andare via di casa a 17 anni), le cose sono diverse. Ci sono almeno 34 piscine che costano 1 euro per i ragazzi e sono aperte fino alle 11 di sera, così come strutture con pc a disposizione dei giovani per fare qualsiasi cosa. Qui non hanno nulla. Non esiste il senso e il relativo rispetto del pubblico. Questo paese ha bisogno di evolversi. Mi lasci aggiungere un’altra cosa.
Prego…
Reazioni del genere danno un’immagine negativa che poi viene strumentalizzata dai media. Quando sono arrivato qui mi colpì la notizia in prima pagina su importante giornale locale. Si riferiva a una rapina del cellulare subita da due ragazze vicino al Bosco. Queste sono cose che accadono ovunque, nella metropolitana di Parigi e nel resto del mondo. Qui invece ho letto titoli fuorvianti. Titoli come “ecco il linguaggio della camorra”, tutto per uno scippo. A Chicago ci sono ogni anno più di 600 crimini commessi da ragazzi di colore e di cui non si parla sulla stampa.
A Capodimonte quali sono i turisti più numerosi?
I francesi che hanno una relazione particolare con Napoli, che è anche storica. Non aspettano da Napoli che sia come Torino, ne sarebbero dispiaciuti. Amano questa città ma solo per una settimana…
Lei come si sposta? Prende i mezzi pubblici?
In taxi o con amici. Non aspetto bus perché ci vuole troppo tempo. Napoli in questo è come Beirut.
Il suo piatto preferito invece? Pizza a parte…
Alici marinate, sono una cosa meravigliosa. E’ vero che qui si mangia bene.
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