Sarà difficile anche per i più incalliti nostalgici della monarchia borbonica dare le colpe di quello che sta accadendo al Nord, agli juventini e al Governo. Il Vesuvio va a fuoco ma i piromani, perché ormai si parla di incendi dolosi, sarebbero nostrani, partenopei del Sud e magari con il sangue azzurro che gli scorre nelle vene. Uno dei simboli della città, proprio quello che genera il fatalismo dei napoletani e che sta all’origine delle nostre passioni, con la sua lava incandescente pronta a travolgere tutto e tutti, è martoriato e violentato da una settimana.
Napoli è la vittima e i carnefici, probabilmente, sono una parte di napoletani. Magari alcuni di essi ogni domenica allo stadio o da casa, si indignano contro gli ignoranti che offendono in modo gratuito e con una bella dose di razzismo tutto il popolo partenopeo. Ma questo piccolo esercito di sciocchi non ha saputo tenere la bocca chiusa neanche davanti all’emergenza. Quale occasione più ghiotta di questa per inneggiare di nuovo all’eruzione del Vesuvio, a quest’atto estremo, definito dall’illustre e preziosa persona che è stata Marco Pannella, “Un altro olocausto, una strage annunciata che ci siamo cuciti addosso“.
Così sono nati gruppi di volontari, a sostegno di chi le operazioni di soccorso le fa per mestiere e missione, che si sono recati sul vulcano per portare viveri, bevande e coperte. Gli eroi con gli eroi, quelli che davvero difendono la città, senza bisogno di pubblicare un post su Facebook o alimentare polemiche secessioniste e reazionarie. Nella tragedia, è questa la Napoli che piace e che vince, alla faccia di chi urla (solo) la domenica “Noi siamo partenopei” e “Difendiamo la città“, rispondendo a quegli stupidi che ci augurano di essere “Lavati dal fuoco” del nostro amato Vesuvio.
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