La prima parte della storia si è conclusa con l’arrivo del braccialetto elettronico che ha permesso all’attore Domenico Diele di lasciare la prigione e scontare la sua pena preventiva ai domiciliari a casa della nonna. Dal punto di vista giudiziario ci sarà poco da fare, il processo difficilmente avrà un esito diverso da quello che un pò tutti immaginiamo e molti sperano. Cosa ha combinato il giovane Diele. Ha distrutto due vite in una notte, una di quelle notti fatte di droga, alcol e velocità. L’attore ha ucciso, non volontariamente, la povera Ilaria Dilillo e ha compiuto nello stesso momento anche il suo suicidio. Non so voi, ma io ho provato ad immaginare quali possano essere le sensazioni di uomo che ha causato la morte di un’altra persona.
Di solito ognuno di noi prova dolore e sofferenza per il lutto, per la morte in generale. Che sia essa provocata o casuale, la venuta della figura scheletrica vestita con una tunica nera e con una falce tra le mani, è sempre temuta ed incute terrore nel nostro inconscio. Ma come potremmo reagire se coloro che mettessero fine ad una vita fossimo noi stessi? Di un incidente d’auto, il ruolo che nessuno di noi vorrebbe mai ricoprire è quello della vittima. Per questo la pena è ancora più atroce, invece, quando la parte che ci è stata cucita addosso dal destino o dalle nostre scelte, senza che neppure lo volessimo, diventa quella del carnefice.
Per tutto questo credo che condannare a diversi anni di carcere Domenico Diele sia un errore. A cosa servirebbe una pena del genere? A evitare che milioni di giovani non si sballino più? Che nessuno si metta più alla guida quando è fatto o ubriaco? A nulla, chiudere in una cella per diversi anni l’attore, non servirebbe a nulla. Neanche alla serenità della famiglia Dilillo. Diele uscirà di galera dopo tutti questi anni (se uscirà) come un uomo peggiore di quello che era quando ci è entrato. Diele non resisterebbe ad uno spazio di pochi metri quadri da condividere con altre 3-4 persone. Non resisterebbe alla vita carceraria, ai suoi orari, alle sue umiliazioni, alle sue privazioni.
Come Diele esistono tante persone che vivono una condizione del genere. Il carcere per loro vuol dire semplicemente una condanna a morte, un altro omicidio. Un assassinio fatto a spese dello stato e del diritto di cui le istituzioni dovrebbero essere fedeli servitrici e non ostinate nemiche. L’attore ha già perso la libertà e probabilmente bruciato la sua carriera. Chissà in quanti che frequentano il contesto cinematografico hanno manifestato solidarietà con l’amico e collega e chi, invece, ha fatto finta di non conoscerlo. Domenico Diele dovrebbe scontare la sua pena in una forma che ripaghi la società e la famiglia Dilillo per il male commesso. E anche se per questi ultimi non esisterebbe alcuna ricompensa per la perdita subita, non è sicuramente il carcere il rimedio giusto.
La vicenda ha inoltre permesso altre riflessioni, come quella che riguarda l’utilizzo dei braccialetti elettronici, dispositivi indicati utili alla causa del sovraffollamento carcerario, in quanto la loro applicazione consente al detenuto di scontare la pena a casa (per alcuni reati). Ebbene quanti ne sono stati prodotti? Chi ne sta beneficiando? Un altro tema che ha iniziato a far discutere l’opinione pubblica è quello del privilegio. E se al posto di Domenico Diele ci fosse un signor nessuno, come si sarebbero comportati i media e i giudici? Presto detto, potremmo essere portati a pensare che quando si è popolari, diventiamo destinatari di trattamenti diversi (non per forza migliori). Del resto se un attore conosciuto commette un reato, per giunta grave, credo sia ovvio che la sua faccia venga impressa sui quotidiani, nei servizi televisivi e sui portali internet. Anzi, proprio per questo la visibilità del caso va sfruttata per tutti quelli che sono come Diele ma che non hanno la fortuna di fare l’attore. Tuttavia questo lo fanno i giornalisti, gli uomini di legge devono essere sempre e solo rappresentanti e difensori del diritto.
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