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Una Corea unita e indipendente da Cina e Usa: questa è la soluzione ad un possibile conflitto nel Pacifico

Le prime dichiarazioni del neo Presidente Moon Jae-in sono state di distensione e apertura nei confronti del Nord del paese. La Corea è divisa dalla fine della seconda guerra mondiale, dopo che la sconfitta del Giappone ne ha causato la separazione: a Nord La Repubblica Democratica Popolare di Corea (Corea del Nord), a Sud la Repubblica di Corea (Corea del Sud). I due stati, divisi dal famoso 38° parallelo, sono diversi per struttura sociale, economica e politica. Infatti il primo è un regime comunista ad influenza cinese, l’altro è una democrazia liberale, capitalista e legata agli Stati Uniti. La Corea del Sud ha appena visto eleggere un nuovo capo del governo, dopo la vicenda relativo all’impeachment nei confronti dell’ex presidente Park Geun–hye che è stata destituita dall’Alta Corte. Questo episodio ha scatenato una vera e propria crisi politica in quella che è la parte filo occidentale della penisola coreana. In Corea del Nord, invece, aleggia un costante vento di guerra causato dalle minacce nucleari paventate dal leader supremo Kim Jong-Un nei confronti dell’America. Dietro queste posizioni conflittuali esiste una partita più complessa e delicata che riguarda il rapporto tra Usa Cina.

Ma la Corea è spesso stata al centro degli scontri che quella parte dell’Asia ha vissuto durante la sua storia millenaria. L’ultimo e più cruento è rappresentato da la guerra di Corea, che dal 1950 al 1953 (in piena Guerra Fredda) ha visto fronteggiarsi le due coree sostenute, una dagli Stati Uniti d’America e l’altra dall’Unione Sovietica. Il conflitto ha avuto inizio a causa dell’invasione del Sud da parte dell’esercito del Nord. Ma anche in precedenza la Corea è stata l’ago della bilancia e oggetto del contendere tra la Cina e il Giappone. Questi ultimi si sono affrontati tra il 1894 al 1895 con il paese del Sol Levante uscito vittorioso. Sullo sfondo la guerra tra il paese nipponico e la Russia (dal 1904 al 1905) con quest’ultima che rivendicava la sua influenza in diversi stati asiatici. Ma il conflitto più grande che ha cambiato per sempre gli equilibri del continente asiatico è stato il secondo, sempre tra la Cina e il Giappone, avvenuto tra il 1937 e il 1945, proprio durante la seconda guerra mondiale. Tutti sanno come è andata a finire: la resa incondizionata del Giappone dopo il lancio della bomba atomica targata Usa su Hiroshima e Nagasaki (rispettivamente il 6 e il 9 agosto del 1945) ha messo fino allo scontro più sanguinario della storia. Dopo la Corea è stata divisa, il Giappone è entrato nell’influenza a stelle e a strisce e la Cina è stata rivoluzionata da Mao Zedong.

Da sinistra il nuovo presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in e la destituita Park Geun-hye

La storia ha continuato a correre e i suoi corsi e ricorsi si presentano oggi quasi come un monito per il mondo intero. In realtà nessuno vuole una nuova guerra di corea, Xi Jinping non appoggerebbe nulla che potesse minare i progetti capitalisti del Dragone e soprattutto le sue mire espansionistiche nel Pacifico. Donald Trump non lancerebbe il suo paese, in cui è stato appena eletto, dentro un conflitto che scatenerebbe la terza guerra mondiale. Vladimir Putin ha troppi problemi tra l’Ucraina e il Medio Oriente per potersi impegnare anche sul fronte asiatico. Shinzo Abe è preso dalle modifiche alla Costituzione giapponese (imposta dagli Stati Uniti alla fine della seconda guerra mondiale, è il testo più pacifista che esiste in quanto non prevede nessun esercito o possibilità di attacchi militari se non in caso di difesa), nell’organizzare due tra i più grandi eventi sportivi della storia nipponica (nel 2019 i mondiali di rugby e nel 2020 le Olimpiadi) e nel rinforzare il suo governo.

Tuttavia i giochi geopolitici tra i grandi leader che professano stima, rispetto e collaborazione nascondono alcune tensioni altrettanto evidenti. Il Giappone non tollererà a lungo le mire espansionistiche cinesi nel Pacifico e la strategia politica del riarmo ne è un segnale (anche se l’affermazione della propria sovranità militare, dopo 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, è abbastanza comprensiva). La Cina sta continuando ad usare lo spauracchio nord coreano per trattare con gli Usa e tenerne a freno l’influsso nel Sol Levante e in Corea del Sud. Gli Stati Uniti che non sopporteranno per molto tempo ancora le minacce di Kim Jong Un e i suoi esperimenti con il nucleare. Sullo sfondo, la Russia che appoggia il colosso cinese e il mercato globale che subisce delle gravi ripercussioni ogni qual volta la minaccia di una nuova guerra diventa un tantino più concreta.

Da sinistra il presidente Usa Donald Trump, quello della Nord Corea Kim Jong Un e quello cinese Xi Jinping

A questo punto perché non pensare ad un futuro unitario per la Corea? Uno stato democratico e liberale libero di commerciare e confrontarsi sia con la Cina che con gli Stati Uniti, senza temere nulla dal vicino Giappone. Non più un paese cuscinetto delle varie potenze regionali ma una nazione sovrana in cui tutti i cittadini, da Nord a Sud, possano godere degli agi e dei benefici che spetterebbero ad un qualsiasi popolo nel 2017. Una sorta di processo storico così come è avvenuto per la Germania dopo l’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989. D’accordo questa è una visione quasi utopistica che vedrebbe il realizzarsi di un passo indietro da parte della Cina che perderebbe il suo ultimo bastione comunista dell’area.

Ma piccoli passi già possono essere fatti, il primo (quello più importante) dovrà farlo Kim Jong Un, almeno sulla questione del disarmo nucleare. E su questo sarà importante la pressione che potrà esercitare Xi Jinping presidente dell’unico stato che commercia con la Corea del Nord e ne garantisce gli approvvigionamenti. Allo stesso tempo gli Usa potrebbero evitare di installare scudi anti missile in Corea del Sud evitando che Seul sia ancora la succursale militare americana nella penisola coreana.

Insomma, nulla è impossibile e le sfide globali, soprattutto dal punto di vista economico e sociale, impongono alle grandi potenze di cercare e trovare una soluzione politica e diplomatica che resti prioritaria rispetto a quella belligerante. Ma per ora i leader più potenti della terra stanno giocando a chi fa la voce più grossa. Speriamo che sia tutta una messa in scena e che in realtà anche loro siano convinti che una guerra non converrebbe proprio a nessuno. Non sarà un caso che negli ultimi giorni sia a Washington che a Pyongyang hanno fatto sapere di essere disposti ad incontrarsi e di avviare un dialogo “Ma solo alle giuste condizioni“. Vediamo quali saranno e auspichiamoci di assistere a tale apertura che, intendiamoci, si realizzerà con il bene placido di Pechino. Da queste parti non possono farsi sfuggire il controllo del “giocattolo rosso” di Kim Jong Un.

redazione

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