Stella San Carlo all'Arena

Una dimenticata pista di Formula 1 a Napoli

La Napoli calcistica non ha bisogno di presentazioni. Chi conosce la città sa bene che andare allo stadio, o riunirsi a casa per guardare insieme le partite fa parte delle abitudini di quasi tutte le famiglie napoletane. C’era un tempo, però, neanche molto lontano, in cui il calcio non aveva il monopolio sugli interessi sportivi della città. Era il tempo in cui si poteva ammirare da vicino il Gran Premio di Napoli, o, volendolo chiamare col nome con cui nacque, la Coppa Principessa di Piemonte.

La Coppa Principessa di Piemonte – Circuito Internazionale di Napoli, fu ideata, sponsorizzata, e fortemente voluta dal Principe di Piemonte Umberto di Savoia, che la dedicò a sua moglie Maria Josè (da qui il nome della manifestazione). Il suo fu un impegno vivo all’interno dell’evento, tanto che si proclamò Presidente del Comitato Generale.

Il resto dell’organizzazione era affidato al Reale Automobile Club d’Italia (l’attuale Aci). Il montepremi, stanziato dal Comitato Generale presieduto dal Principe, veniva suddiviso tra i vincitori delle categorie (stabilite in base alla cilindrata delle auto) e chi realizzava (relativamente alla propria categoria) il giro più veloce.

Il bottino era cospicuo, tant’è vero che nonostante il Gran Premio di Napoli (la Coppa Principessa di Piemonte) non rientrò mai nel novero delle gare valide ai fini del Campionato Mondiale, piloti di assoluto primo piano vollero comunque parteciparvi, per provare ad incassare i ricchi premi, o per misurarsi con un circuito cittadino davvero ostico.

Si cominciò a correre questo Gran Premio nel 1933, su un tracciato di ben 700 km che passava attraverso quattro regioni. Partenza da Napoli, passaggio da Potenza, e poi da Bari, e Campobasso, per poi tornare a Napoli. Un percorso massacrante, ma alla fine, ad alzare la Coppa Principessa di Piemonte fu Franco Comotti, su Alfa Romeo 8C.

L’edizione successiva del Gran Premio eliminò l’interregionalità e si concentrò sulla collina di Posillipo. Ne nacque un tracciato splendido, una piccola Montecarlo, che attirò su di sé non solo l’interesse di appassionati da tutta Italia, ma di piloti e marchi di automobili sempre più prestigiosi. Valga un dato su tutti: a vincere l’edizione del 1934 fu Tazio Nuvolari. La leggenda viaggiava su Maserati 6C.

Le cronache dell’epoca diedero gran risalto a questa vittoria, descrivendo le urla dei tifosi, i capelli spettinati delle donne al passaggio del “Mantovano Volante”, il vuoto che Nuvolari creò dietro di sé molto prima dell’arrivo, e la potente accelerazione che impresse al suo bolide in prossimità della bandiera a scacchi, nonostante i giochi fossero ormai conclusi.

Dopo il Gran Premio del 1934 ci fu una pausa di 3 anni. Si riprese nel 1937, con tre edizioni fino al 1939, e la successiva interruzione dovuta a cause di forza maggiore: era cominciata la Seconda Guerra Mondiale. Nelle tre edizioni prima della grande guerra vinsero Nino Farina su Alfa Romeo 12C, pari merito con Carlo Felice Trossi (su Maserati 6CM), Aldo Marazza (su Maserati 4CS), e John Peter Wakefield (Maserati 6CM).

Quando si ricomincerà a correre a Napoli, la guerra sarà finita da 3 anni. Nel 1948 la Coppa Principessa di Piemonte diventa ufficialmente Gran Premio di Napoli, e non conoscerà sosta fino al 1962. Fino al 1954 a sfrecciare sul circuito di Napoli saranno le Formula 2. Dal 1955 in poi sarà la volta delle Formula 1, con sporadiche edizioni riservate alle vetture Sport.

Una rapida carrellata dei vincitori dal 1948 al 1962 darà l’idea del livello di piloti e automobili che vollero far parte di questa splendida manifestazione. 1948 Luigi Villoresi (Osca MT4), 1949 Roberto Vallone (Ferrari 166C), 1950 Franco Cortese (Ferrari 166 F2), 1951 Alberto Ascari (Ferrari 166 F2), 1952 Nino Farina (Ferrari 500 F2), 1953 Nino Farina (Ferrari 500 F2), 1954 Luigi Musso (Maserati A6 GCS).

E ora, le Formula 1. 1955 Alberto Ascari (Lancia D50), 1956 Robert Manzon (Gordini T16), 1957 Peter Collins (Lancia- Ferrari D50), 1958 Joakim Bonnier (Maserati 200S), 1959 Tony Settember (WRE Maserati), 1960 Mennato Boffa (WRE Maserati), 1961 Giancarlo Baghetti (Ferrari 156 F1), 1962 Willy Mairesse (Ferrari Dino 156).

La lunghezza del tracciato era di circa quattro chilometri. La griglia di partenza si trovava sul ponticello. Rettilineo in salita fino al Parco Virgiliano, prima esse, varie curve a destra e sinistra, in discesa, fino al punto più basso. Via Boccaccio, e nuovamente in salita. Curve a destra e sinistra, declivio fino all’incrocio con Via Manzoni. Discesa fino al traguardo.

Insomma, rettilinei, curve, saliscendi mozzafiato, che facevano del Gran Premio di Napoli, a detta dei protagonisti, uno dei più bei circuiti del mondo. Così si esprimeva il leggendario Manuel Fangio: “Quello di Posillipo era un tipico circuito cittadino e, come Montecarlo, nascondeva tante insidie, come gli spigoli dei marciapiedi, per non dire degli alberi lungo i tratti in discesa, ai lati della strada. Un vero incubo. Ma era un bel tracciato, animato, con tante curve e un lungo rettilineo dove si raggiungevano velocità ragguardevoli»

E tanto per ricordarci che si era a Napoli, vorremmo citare il Gran Premio del 1960, il diciassettesimo, in ordine cronologico. Ma nella sponsorizzazione dell’evento, e restò agli annali della storia, quel gran premio venne chiamato “18mo Gran Premio Napoli”. Il 17 no. A Napoli, mai. Per la cronaca, in quel Gran Premio non successe nulla di tragico.

redazione

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