Molti ricorderanno la storia di Tiziana C.. La ragazza della Provincia di Napoli che girò sei video hard, mentre tradiva il suo compagno. Video che, a sua insaputa e senza alcuna autorizzazione, sono cominciati a girare sul web. In molti ricorderanno la frase: “Stai facendo un video? Bravo“, divenuta un vero tormentone sui social network.
La vicenda risale al maggio 2015, quando Tiziana C. gira alcuni video spinti con il suo amante, video che, come lei ha raccontato, decide di inviare a 5 amici, ignara del fatto che da quel momento, le immagini avrebbero fatto il giro d’Italia. All’epoca ci fu chi pensò che l’operazione fosse stata ideata, per far ottenere alla ragazza visibilità, in vista di una possibile carriera nel mondo dello spettacolo.
E, invece, quell’ingenuità è costata l’identità a Tiziana C., che da quel giorno, ha dovuto cambiare completamente la sua vita. Dopo il tormentone del video hard, di cui era protagonista, ha avuto diversi problemi. È stata perseguitata e presa in giro, per questo motivo decise di interrompere la sua vita sociale. Isolata dal mondo, cadde in depressione e tentò anche il suicidio. I suoi familiari le salvarono la vita in tempo.
Intanto, si sta svolgendo un processo al Tribunale Nord di Napoli. Il giudice, come primo provvedimento, ha approvato con un emendamento speciale il cambio d’identità della ragazza, in modo che nessuno più la riconosca. L’avvocato della Cantone, Roberta Foglia Manzillo ha provveduto a citare in giudizio Facebook Ireland, Yahoo Italia, Google e Youtube e le persone coinvolte nella diffusione del video.
L’accusa rivolta al social network da parte del giudice che si occupa del caso, Monica Marrazzo, è che non è stato levato immediatamente il video, dopo aver compreso che ledeva l’identità di una persona. Il social californiano, dal canto suo, assicura che sulla pagina creata non c’era nessun filmato, intanto un provvedimento d’urgenza ha invitato a rimuovere dal web qualsiasi pagina che faccia riferimento a Tiziana e al video.
Secondo l’avvocato Foglia Manzillo il danno arrecato alla sua assistita è enorme: “La mia cliente, che vive in una cittadina di provincia e non ha più potuto lavorare nel locale di cui i genitori sono titolari, ha avuto un danno non indifferente da questa vicenda che non era assolutamente nelle sue intenzioni causare. Ci siamo perciò appellati al diritto all’oblio, perché la diffusione del fatto lesivo dei diritti della privacy non rispondeva a un reale interesse pubblico“.
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